giovedì 31 marzo 2011

ABITARE UNA LINGUA, RACCONTARE STORIE


Venerdì 8 aprile ore 17:30
Circolo Arci Thomas Sankara
Abitare una lingua, raccontare storie : incontri tra libri, scrittori e lettori
presenta
"Nuove lettere persiane : sguardi dall'Italia che cambia"
"Abitate una lingua, raccontare storie" è un ciclo di incontri promosso dal Circolo Arci Thomas Sankara all'interno del progetto "Spunti di vista" su giovani di origine straniera e discriminazione.
Il primo incontro è dedicato al racconto biografico, una raccolta di storie di vita migrante curata da Francesca Spinelli, con la prefazione di Gad Lerner ,i cui autori sono tutti giornalisti di origine straniera, che hanno scelto di vivere in Italia. Il libro intitolato "Nuove Lettere persiane, sguardi dall'Italia che cambia" è edito da Ediesse e verrà presentato insieme ad uno degli autori, il giornalistica libico Farid Adly.
Un ragazzo di Hong Kong che studia belle arti a Milano, una giovane ciclista lituana alle prese con l’umorismo toscano, una bambina cilena sbarcata nella Roma degli anni ottanta, un uomo camerunense che realizza il sogno di costruirsi una casa in patria: sono alcune delle storie riunite in questa breve raccolta, raccontate con stili diversi e unite dal filo rosso dell’ironia. Quattordici giornalisti di origine straniera firmano questo omaggio collettivo all’autore delle Lettere persiane. Alcuni, i più giovani, sono nati o cresciuti qui, altri sono arrivati già adulti. Come Montesquieu, hanno immaginato dei personaggi, più o meno autobiografici, che raccontano le loro impressioni sull’Italia ad amici o parenti. E ci ricordano l’importanza di aprirsi a nuovi sguardi sul mondo in cui viviamo.Dalla prefazione di Gad Lerner Scorro le biografie degli autori di queste lettere su un’Italia vista al tempo stesso dal di dentro e dal di fuori –– quasi tutti più giovani di me, o d’’immigrazione più recente –– e naturalmente ripenso al bambino fortunato che ero mezzo secolo fa, allorché una brava maestra seppe farmi sentire partecipe a tutti gli effetti della festa per il centenario dell’’Unità d’’Italia. Che avessi un altro passaporto in tasca (per la verità non ne possedevo alcuno), o che non mi facessi il segno della croce come gli altri all’’inizio della mattinata, non costituiva un problema. ......Gli autori che state per leggere vi saranno preziosi grazie al loro essere arrivati o nati in Italia dopo, testimoni di un mondo che nei suoi spazi ravvicinati sta di nuovo assurdamente dividendosi. ......... I novelli Montesquieu di un’italianità dinamica e protesa al futuro meritano la nostra gratitudine, perché rinnovano il piacere della scoperta culturale. Gli autori: Farid Adly, Ejaz Ahmad, Ismail Ali Farah, Lubna Ammoune, Mayela Barragan, Paula Baudet Vivanco, Domenica Canchano, Alen Custovic, Raymon Dassi, Darien Levani, Gabriela Pentelescu, Edita Pucinskaite, Sun Wen-Long, Akio Takemoto . Circolo Arci Thomas Sankara Via Campo delle Vettovaglie, snc (ex Mercato Ittico) 98122 Messina tel/fax 0906413730
Evento facebook

lunedì 28 marzo 2011

La mia sconfitta, la nostra salvezza



Vivo questi momenti con angoscia. Sono convinto antimilitarista, pacifista e nonviolento. Vivo la guerra libica come una sconfitta personale. La mia generazione di libici è fallita. Non abbiamo fatto abbastanza per sconfiggere politicamente la dittatura gheddafiana. L'opposizione era frantumata in mille rivoli, dai monarchici fino ai socialisti, ma tutti regolarmente all'estero e uno contro l'altro. Perché all'interno del paese c'erano soltanto Abu Selim (eccidio di 1200 detenuti politici, nelle loro celle, il 26 Giugno 1996, del quale ha parlato nel 2009 solo il manifesto) oppure le esecuzioni in pubblico negli stadi. Non abbiamo avuto sufficiente voce per farci sentire e, forse, anche il mondo non ci aveva dato ascolto, perché gli orecchi dei grandi erano tappate da cerotti di petrolio e dalla carta moneta delle commesse di armamenti. Perché considero giusta la richiesta della No Fly Zone, da parte del Consiglio Nazionale Transitorio Libico (Cntl)? Perché era l'unica strada per la salvezza dei giovani libici che hanno dato avvio a questa rivoluzione, a questa resistenza. Il Cntl non ha chiesto - e lo ha ribadito anche nella giornata di lunedì 21 - bombardamenti sulla residenza di Gheddafi a Bab Azizie per ucciderlo. «Destituire Gheddafi è un compito nostro e lo faremo mobilitando il nostro popolo in questa resistenza formidabile che unisce tutto il paese», ha detto l'avvocato Abdel Hafeez Ghouga. È un diritto sacrosanto alla sopravvivenza!È, parimenti, diritto dei miei compagni pacifisti italiani dichiararsi contrari all'intervento delle potenze occidentali, ma non mettano in campo ragioni che riguardano la nostra ricchezza petrolifera o il concetto di sovranità nazionale. Non ho dubbi che Stati uniti, Francia e Gran Bretagna non sono lì a difendere il mio popolo. Non ci sono guerre umanitarie, come ha scritto giustamente Tommaso Di Francesco. Lo so che sono lì per il petrolio e per le commesse future. La ridicola polemica tra Francia e Italia sul commando della missione dimostra ampiamente questo occhio rivolto al petrolio e rischia di allungare la vita al dittatore. Vi ricordo però che il petrolio ce l'avevano sotto il loro controllo anche prima. Non hanno organizzato loro la rivolta in Libia. Per loro sarebbe stato meglio se fosse rimasto tutto come prima, quando ballavano coi lupi. Un discorso a parte per il miliardario ridens. Ha fatto ridere i polli e ha trascinato l'Italia in una situazione ridicola. Un giorno diceva una cosa e l'altro sostieneva il contrario. Ha superato se stesso quando la mattina ha detto che Gheddafi è tornato in sella e poi la sera, dopo che ha capito le intenzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu, ha cambiato idea per dire: «Gheddafi non è più credibile». A Torino poi, dopo l'avvio della campagna militare alla quale partecipa l'Italia, ha cambiato ancora bandiera, dando credito al colonnello. I compagni dell'Arci e della Tavola della Pace hanno ragione a chiedere che l'Italia non abbia un ruolo attivo nei bombardamenti. C'è una doppia ragione che consiglia ciò. La posizione altalenante di Berlusconi e Frattini è un dato che consiglia prudenza, ma la ragione più forte è un'altra: l'Italia è stata una potenza coloniale in Libia, quest'anno ricorre il centenario dell'aggressione italiana al suolo libico (avete visto qualche cerimonia per ricordarlo?) e questo trascorso militare (i primi bombardamenti aerei in assoluto nella storia militare sono avvenuti a Kofra da parte di un aviatore italiano), consiglia di astenersi completamente dal bombardare il territorio libico da parte dell'aviazione militare italiana. L'Italia, se intende rimettere i rapporti con il popolo libico sul binario giusto, dedichi qualche piazza a Omar Mukhtar, eroe della resistenza libica, proposta che avevo avanzato proprio sulle pagine del Manifesto, oltre 10 anni fa, ma caduta nel dimenticatoio anche da parte del compagno(?) Veltroni, allora sindaco di Roma. Se il governo italiano ha fatto una brutta figura, peggio hanno fatto certi opinionisti, attaccati a concetti ideologici, dimenticando la resistenza italiana contro il regime fascista e contro la repubblichina di Salò. Ecco, Gheddafi per noi libici rappresenta quello e i nostri ragazzi sono i nuovo partigiani. In questi momenti, i democratici di Tripoli vivono lo stesso sentimento di quei partigiani di Milano che lottavano per la liberazione in una città sotto le bombe degli alleati. Noi vogliamo la libertà e mettere finire alla tirannia, scrivere una costituzione e scegliere, in elezioni libere, chi governerà la Libia. Questo processo è guidato da magistrati, avocati, medici, ingegneri e cosa sento e leggo? Che la Libia è abitata da beduini. Si sono dimenticati che la Libia nel 1804 ha sfidato e sconfitto gli Stati Uniti, freschi freschi di indipendenza (Professor Giuseppe Restifo, «Quando gli americani scelsero la Libia come nemico» Armando Siciliano Editore). Non so se questo dice qualcosa a certi «signoroni» opinionisti italiani. Alcuni arrivano a ripetere cliché retaggio del colonialismo culturale, dimostrando ignoranza della realtà libica. Noi oggi siamo protagonisti e vogliamo chiudere con il dittatore. Ben vengano tutte le proposte di mediazione internazionale, come quella del presidente della Bolivia Evo Morales, per arrivare, per via pacifica, alla cacciata del sanguinario despota. Farid Adly articolo pubblicato sul quotidiano "Il Manifesto" del 24/03/2011

domenica 20 marzo 2011

18.03.2011 - Deportazione di Stato

In queste ore si sta palesando, con effetti drammatici, l'incapacità del governo di gestire l'accoglienza di alcune migliaia di giovani in fuga dalla Tunisia.
Gli arrivi dall'inizio dell'anno sono poco più di 10mila, numeri quindi non da ‘esodo biblico', ma sufficienti a mandare in tilt il ministro Maroni.
Gli annunciati spostamenti ‘volontari' dei rifugiati e richiedenti asilo alloggiati nei CARA (Centri d'accoglienza per Richiedenti Asilo) si stanno rivelando vere e proprie deportazioni. Le persone interessate si nascondono per evitare di essere trasportate a Mineo, senza alcun provvedimento che fornisca dei criteri e delle garanzie. Persone che hanno passato mesi in un CARA, avviato progetti, che hanno in corso procedimenti in merito alla domanda d'asilo, vedono interrotto il loro percorso senza spiegazioni, senza che venga fornito un criterio, senza atti formali che legittimino quanto sta accadendo.
Persino i trasferimenti da un carcere all'altro avvengono attraverso procedure che prevedono il coinvolgimento dei detenuti e dei oro legali. I CARA invece, in particolare con questo governo, sono sempre più territorio di nessuno, spazi al di fuori della legalità.
Il già fragile sistema d'accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo viene alterato e sconvolto da un governo che vuol aumentare la confusione, renderla percepibile a tutti, per alimentare le paure dei cittadini e su quelle costruire, come ha dichiarato tranquillamente Bossi, maggior consenso elettorale.
Il fatto che chi viene sradicato dal suo ambiente e sballottato senza spiegazioni da un'altra parte siano persone che hanno già subito persecuzioni, torture e violenze, spesso vittime di traumi che richiedono un'assistenza psicologica, non interessa minimamente ai nostri cinici governanti.
E' la stessa mancanza di umanità che caratterizza il trattamento riservato a chi sta in queste ore sbarcando a Lampedusa. Ammassati come bestie, in condizioni igieniche del tutto precarie, per loro si prospettano soluzioni logistiche del tutto improbabili e fuori da ogni logica. Ma tutto deve servire a dimostrare all'opinione pubblica che l'eroico Maroni deve fronteggiare l'invasione, mentre soffia sul fuoco del disagio dei lampedusani.
Anziché gestire l'emergenza coinvolgendo i territori e ricercando soluzioni compatibili con il sistema d'accoglienza ordinario, si sta percorrendo la via del tanto peggio tanto meglio.
D'altra parte questo è sempre stato l'approccio del governo rispetto all'immigrazione: repressione, espulsioni, nessuna politica di integrazione. Adesso che sull'amico Gheddafi non si può più contare, il nervosismo è alle stelle.
E però noi, che accanto ai migranti operiamo ogni giorno, che ci battiamo per il rispetto dei diritti di tutti, non possiamo non chiedere ai nostri governanti: Fermatevi, prima che sia troppo tardi. Comunicato stampa Arci nazionale

sabato 19 marzo 2011

ALLA DEMOCRAZIA IN LIBIA NON SERVE L’AVVENTURISMO MILITARE: AUMENTARE LA PRESSIONE POLITICA PER IL CESSATE IL FUOCO


Siamo senza incertezze schierati con le rivolte del mondo arabo. Per anni abbiamo cercato di sostenere gliattivisti dei diritti umani, sociali e culturali che pagavano con la repressione il prezzo del loro impegno. Cisiamo battuti contro gli accordi interessati che l’Italia e l’Europa continuavano a stringere con i dittatori per sfruttare meglio quei mercati e per militarizzare le frontiere contro l’arrivo dei migranti. Dal primo giorno della rivoluzione dei gelsomini in Tunisia abbiamo organizzato appelli, manifestazioni e iniziative, ricordando che la conquista della democrazia nel Mediterraneo è condizione del nostro stesso futuro. Siamo in permanente rapporto con le reti di società civile dell’area, e proseguiamo senza sosta l’impegno per l’accoglienza dei migranti e dei profughi. Abbiamo sperato che, come in Egitto e in Tunisia, la forza pacifica della rivolta popolare riuscisse a liberare in pochi giorni la Libia da Gheddafi e il suo regime. Il passato coloniale dell’Italia di cui quest’anno cade il centenario, il sostegno aperto e surreale dato al dittatore dal governo Berlusconi, l’enorme mole di armi vendute dal nostro paese alla Libia aumentano la nostra responsabilità verso quel popolo. Da settimane i nostri amici libici imploravano una azione della comunità internazionale e la no-fly zone, per impedire al dittatore di stroncare la rivolta. Oggi, mentre Gheddafi ha già riconquistato gran parte del paese, l’ONU la ha dichiarata e la gente di Bengasi festeggia.La risoluzione 1973 e’ complessa. Si presta a molte ipotesi di gestione concreta. Apprezziamo l’impegno a proteggere la popolazione civile, il chiaro rifiuto dell’opzione di occupazione militare straniera, la priorità del cessate il fuoco e della soluzione politica, il rafforzamento dell’embargo militare e commerciale, il riconoscimento del ruolo prioritario della Unione Africana, della Lega Araba, della Conferenza Islamica. Conosciamo però per esperienza i rischi di innalzamento e di allargamento del conflitto connessi alla no-fly zone, al coinvolgimento militare delle potenze occidentali e alla possibile escalation, alle ritorsioni di Gheddafi che sono purtroppo da mettere nel conto. E siamo perciò assolutamente preoccupati dei possibili sviluppi nelle prossime ore, soprattutto di fronte all’atteggiamento interventista di alcuni paesi, primi fra tutti Francia e Gran Bretagna. Importanti governi si sono astenuti nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, preoccupati dell’impossibilità di tenere la no-fly zone nei suoi stretti confini di deterrenza. Molti altri la appoggiano ma condividono lo stesso timore. Chiediamo a tutti di opporsi in queste ore all’interventismo militare e di aumentare invece la pressione politica, utilizzando il potere deterrente della nuova risoluzione perché si arrivi a un vero e duraturo cessate il fuoco, che consenta l’inizio di una transizione in Libia. L’annuncio della fine dell’offensiva da parte del regime arrivata in queste ore è una opportunità che va colta e sfruttata al meglio dalla comunità internazionale. Gli insorti vanno sostenuti, la popolazione civile va difesa, Gheddafi va fermato, ma non è con un’altra guerra occidentale che la democrazia nel mondo arabo potrà affermarsi. Comunicato stampa Arci Nazionale
Sabato 19 marzo ore 10:30 "Le ragioni e il futuro delle rivolte in Maghreb" Pickwick Via Ghibellina, intervengono i dirigenti dell'Arci Carmen Cordaro e FArid Adly.
TRASFORMIAMO L’ANGOSCIA IN PARTECIPAZIONE VOTIAMO SI’ AI REFERENDUM
ACQUA PER TUTTI, NUCLEARE PER NESSUNO IN PIAZZA A ROMA SABATO 28 MARZO
La tragedia terribile che ha colpito il Giappone tiene il mondo e tutti noi col fiato sospeso. Condividiamo un grandissimo sentimento di pena e di solidarietà per quel paese e quel popolo, l’angoscia per le vittime e per i sopravvissuti, una terribile ansia per l’emergenza nucleare. La natura fa il suo corso, rispettando un disegno assai più grande di noi umani. Ma certo gli umani riescono a fare di tutto per sfidare le leggi naturali e mettersi in pericolo. Riempire di centrali nucleari una zona altamente sismica è davvero una sfida al destino, tanto più sapendo che la scienza non è in grado di metterle al riparo da disastri. Ma così è andata, e questo orribile catastrofe può almeno contribuire a evitare di produrne altre in futuro. La Germania e la Svizzera hanno cambiato i loro piani nucleari. L’Austria chiede di ridiscutere le politiche europee. Gli Stati Uniti e molti altri paesi si interrogano sulle scelte energetiche e sulla sicurezza. Il governo italiano, dopo aver tagliato gli investimenti sulle rinnovabili, ha tirato dritto fino a che ha potuto con le centrali, aiutato da esperti di parte e interessati, e ora accenna appena alla necessità di riflessione, più interessato ai consensi elettorali che alla tragedia. Non c’è da riflettere, bisogna agire. L’Italia non deve tornare al nucleare. Noi alziamo la voce, perché Fukushima non deve accadere mai più, e nessuna parte del mondo deve più essere messa a rischio.Mettiamo in campo un impegno straordinario per la manifestazione che aprirà la campagna referendaria per l’acqua pubblica e contro il nucleare il 26 marzo a Roma per dire: acqua per tutti, nucleare per nessuno. Intercettiamo lo sgomento di tanti e tante, aiutiamolo a trasformarsi in partecipazione attiva e scelta consapevole, per un modo di vivere dove l’economia non possa farci più fragili e in pericolo di quanto già non siamo. Il diritto alla vita e alla salute non può essere sottomesso alle logiche di mercato. La campagna referendaria è una occasione straordinaria per far valere questo semplice e fondamentale principio. Impegniamo ancora più fortemente la nostra associazione nei comitati referendari unitari per l’acqua pubblica e per fermare il nucleare. www.arci.it

I popoli si liberano, l’Europa continua a rinchiudere

Campagna di visite di parlamentari nei centri di detenzione

in Europa e alle sue frontiere esterne

Dal 7 al 31 marzo parlamentari italiani ed europei,con esponenti di organizzazioni sociali, in visita nei centri di detenzione di Bulgaria, Spagna, Belgio, Germania, Francia, Italia e Mauritania

Mentre le rivolte nei paesi della riva sud del Mediterraneo stanno modificando le relazioni di questi paesi con l’Unione europea in merito alle questioni migratorie, Migreurop, di cui l'Arci fa parte, lancia la sua seconda campagna di visite di parlamentari nei centri di detenzione. Dal 7 al 31 marzo, parlamentari nazionali ed europei e attivisti di organizzazioni sociali visiteranno centri di detenzione in Bulgaria, Spagna, Belgio, Germania, Francia, Italia (tra l’altro Reggio Calabria e Milano) e Mauritania, dove le istituzioni europee finanziano strutture simili. Si ricorda che a marzo 2009, la rete Migreurop, nel quadro della campagna “Per un diritto alla trasparenza nei luoghi di detenzione per stranieri”, aveva già coinvolto parlamentari di numerosi paesi in una serie di visite a luoghi di detenzione per stranieri, finalizzate a dare attuazione al diritto alla trasparenza (si veda http://www.migreurop.org/rubrique276.html).La detenzione nei centri è la soluzione più frequentemente utilizzata dagli stati membri dell’Unione europea per affrontare i fenomeni migratori. La direttiva rimpatri, adottata a dicembre 2008, avrebbe dovuto essere recepita dalle legislazioni nazionali entro la fine del 2010. Ad oggi solo 9 paesi membri su 27 l’hanno fatto. Nonostante questa direttiva sia stata presentata come uno strumento volto ad armonizzare le condizioni di rimpatrio e meglio garantire i diritti dei migranti, di fatto non assicura il rispetto dei diritti fondamentali delle persone trattenute: ad esempio, la durata massima della detenzione è stata estesa in vari paesi (Spagna, Italia, Grecia) ed il divieto di reingresso nel territorio europeo - anche per anni – si applica anche a coloro che hanno familiari residenti in un paese dell’Unione. Migreurop – che nel 2010 ha chiesto la chiusura di tutti i centri di detenzione per stranieri – ripete questa iniziativa affinché la società civile possa esercitare il diritto di visita nei centri (diritto peraltro previsto dalla direttiva rimpatri) al fine di conoscere meglio le condizioni di vita delle persone detenute e l’effettività dei loro diritti.

mercoledì 16 marzo 2011

17 marzo 150 anni dell'unità d'Italia : l'Italia vista da altrove

Messina - Milano: l'Italia unita racconta se stessa e i suoi mutamenti. Il 17 marzo, in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia, al circolo Arci Métissage di Milano ed al circolo Arci Thomas Sankara di Messina, la proiezione in contemporanea di "Fratelli d'Italia" il film documentario che riflette sul tema dell'identità attraverso le storie dei "nuovi italiani".
"Fratelli d'Italia" è un film di Claudio Giovannesi, presentato al Festival Internazionale del Film di Roma, di cui sono protagonisti tre ragazzi di origine straniera, un ragazzo rumeno, una ragazza bielorussa, un ragazzo egiziano, compagni di scuola a Ostia. La proiezione del film è stata concessa dalla casa di produzione l'Istituto Luce, poichè il film non è ancora circuitato in tutte le sale.
Prima del film, a Milano, alle 18:00, l'incontro con lo scrittore algerino Amara Lakhous ("Divorzio all'islamica a Viale Marconi"; "Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio", premio Flaiano 2006), a Messina alle 19:30 “Giovane Italia tra passato e presente”, ovvero Arciconversazione insieme allo storico Giovanni Raffaele sull'Unità d'Italia prima della proiezione del fim.
I due appuntamenti rientrano nel progetto "Spunti di vista", finanziato dal Dipartimento delle Pari Opportunità, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (bando Azioni Positive 2010), promosso da Arci Nazionale e dai circoli Arci Thomas Sankara di Messina e Métissage di Milano, che indaga sulla condizione delle giovani generazioni di origine straniera nelle due città gemellate. Evento Facebook

domenica 6 marzo 2011

"Dalla Libia arriva un grido di libertà" di Farid Adly


Cari lettori, continuate ad abbonarvi al manifesto! Cari compagni del manifesto, redattori e lettori, non sono d'accordo con voi su alcune posizioni, ma continuo a leggere e difendere (per quel poco che posso fare) il manifesto. Le riflessioni che sono state avanzate da Rossanda, Castellina, Parlato e Di Francesco sono sacrosante, ma difettano in un punto: non inquadrano la questione libica nel suo contesto storico.
Sarebbe un dibattito avanzato e profondo su dubbi e zone d'ombra, se non ci fosse in corso una tragedia di un popolo che viene ucciso ogni giorno, nelle piazze delle città libiche e nelle piazze d'affari del mondo industrializzato. La frase del compagno Parlato «Sono e resto un convinto estimatore del colonnello Gheddafi» (Il Sole-24 Ore del 18/2/2011, poi ribadita sulle pagine del manifesto dieci giorni dopo) fa molto male a chi - come me - ha perso la propria libertà a causa del tiranno. Quanti articoli sul manifesto ho dovuto firmare diversamente, per scongiurare una repressione contro i miei familiari.
Prima di tutto, quella in corso non è una guerra civile; lo potrà diventare in futuro, ma adesso è una resistenza popolare contro un tiranno, la sua famiglia, i miliziani e mercenari. È paragonabile alla resistenza italiana contro il fascismo mussoliniano.
La questione della bandiera issata sulle zone liberate, avanzata da Manlio Dinucci, quella dell'indipendenza, non è un sintomo di ritorno al passato. Quella bandiera non è certo proprietà dell'ex re Idriss o della confraternita senussita. (A proposito, non ho capito il riferimento del compagno Parlato all'asserito antisemitismo di Idriss. Essere anti-sionisti non è necessariamente antisemitismo. Vi ricordo che prima dell'occupazione della Palestina, tra i vari progetti per creare Israele, nella prima metà del Novecento, la Cirenaica era uno dei luoghi proposti. Essere contrari a quei propositi non è certo antisemitismo). Io avrei usato la bandiera rossa, ma io e la mia generazione non contiamo nulla in questa rivoluzione. La corrente monarchica nell'opposizione è assolutamente minoritaria e lo sbandierare di quel tricolore, con stella e mezzaluna in bianco, non è un attaccamento al passato ma un chiaro rifiuto del regime. Fondare su questo una critica ai giovani libici che hanno affrontato a petto nudo le mitragliatrici anti-carro dei miliziani e mercenari di Gheddafi, è di una ingenerosità disarmante. Non si nega qui l'esistenza di piani internazionali per mettere le mani sul petrolio della Libia, ma la rivoluzione libica del 17 Febbraio 2011 non è guidata da fantocci dell'imperialismo, bensì da giovani e democratici che hanno una storia nel paese. La caduta del muro della paura, dopo le esperienze di Tunisia e Egitto, li ha portati ad alzare la testa contro la tirannia. Se non mettiamo al centro dell'attenzione questo grido di libertà, che nasce dal basso, non capiremmo nulla dai moti di rivolta che stanno caratterizzando la lotta dei paesi arabi contro le cariatidi al potere da troppi anni.
La seconda questione riguarda il Gheddafi socialista. Le tesi sul cosiddetto socialismo arabo hanno imperversato negli anni Cinquanta e Sessanta, al momento del riscatto nasserian-baathista di Egitto e Iraq. Interessanti esperienze di borghesia nazionale del sud del mondo, che sono state, solo per necessità, anti-imperialiste nella prima fase del loro sviluppo. In Iraq, Egitto e Siria di quegli anni i comunisti e i socialisti sinceri sono stati perseguitati e repressi. Quelle esperienze di colpi di stato hanno dato molti frutti positivi sul piano sociale, ma solo nella prima fase del loro sviluppo. La tendenza verticistica e la mancanza di una legittimità democratica, da una parte, e l'attacco dei paesi occidentali alleati di Israele dall'altro (guerra di Suez nel 1956 e quella del 5 giugno 1967) hanno reso questi nuovi regimi delle oligarchie militari che nulla hanno a che fare con l'idea di una giusta distribuzione della ricchezza nazionale e dello sviluppo sociale e culturale dell'essere umano, base di ogni esperienza socialista.
Gheddafi arriva dopo, nel 1969. La «spinta propulsiva» del golpe militare contro il vecchio re Idriss, per dirla con Berlinguer, è finita molto presto. Già nel 1973 della rivoluzione degli ufficiali liberi non c'era più nulla, se non la spietata repressione di ogni dissenso. Le forche all'Università, l'allontanamento dei compagni d'armi, la cancellazione di ogni forma d'opposizione, il divieto dei sindacati, l'annullamento di ogni azione indipendente della società civile, l'uccisione degli oppositori all'estero (l'Italia è stata un teatro prediletto per azioni terroristiche) e le operazioni militari contro civili che protestavano pacificamente contro le volontà del tiranno (anni '80 e '90 a Derna e Bengasi...), il massacro di Abu Selim (26 giugno 1996), sono esempi di questo dominio di una nuova classe dirigente che si è ridotta di fatto alla famiglia di Gheddafi e a una piccola cerchia di suoi seguaci.
La corruzione imperante e il dominio totale dei servizi segreti sulla vita quotidiana dei cittadini sono alla base di un regime che ha sperperato le ricchezze del paese non per costruire una Libia moderna capace di creare occupazione e prosperità per il popolo, ma per comperare le coscienze, conquistare l'appoggio di altri dittatori, in impossibili e perdenti guerre africane (Uganda, Ciad...) e nel lusso per i suoi figli e adepti. La Libia è un paese ricco, ma i libici sono poveri. Un impiegato prende l'equivalente di 170 dollari al mese, mentre uno degli stolti figli del tiranno ha speso due milioni di dollari per uno spettacolo, durato solo un'ora, di una cantante americana, Beyoncé, in una discoteca di Las Vegas.
Del socialismo gheddafiano, i libici hanno un ricordo sbiadito dei supermercati vuoti dalle mercanzie e della noiosa e stupida burocrazia corrotta, simile a quello che hanno ereditato le giovani generazioni dell'est europeo. E non tutto era anticomunismo.
Non credo che Gheddafi rappresenti una continuazione dell'esperienza non allineata di Nasser. Castellina fa bene a ricordare l'importanza di quell'idea, peraltro ridotta al silenzio dalla spietata aggressione imperialista, di rifiuto di schierarsi per forza con uno dei due patti militari in cui era diviso il mondo del secondo dopoguerra. Nasser è morto povero e suo figlio non ha ereditato nessun ruolo politico. Qui invece abbiamo la ricchezza petrolifera del paese considerata come proprietà privata della famiglia e il potere jamahiriano ridotto a una ridicola monarchia. Considerare Gheddafi come parte di quel mondo che si è incamminato nel solco del nobile esperimento dei «Non Allineati» è stato un errore di valutazione della compagna Castellina.
Non bastano le belle intenzioni del colonnello! Quel che conta nella politica è l'azione. Anch'io, come molti giovani libici di allora, ho occupato il Consolato libico a Milano e ho distrutto la gigantografia di re Idriss. Ma già nel 1973, l'Unione generale degli studenti libici che guidavo, ha occupato l'ambasciata libica a Roma, per protesta contro l'impiccagione nell'atrio dell'Università di Bengasi (per di più senza processo) degli studenti che chiedevano libertà e rappresentanza.
La sinistra libica è stata cancellata con uccisioni e detenzioni e in alcuni casi con la compravendita delle coscienze, nel più totale silenzio. È stata anche colpa nostra, perché non siamo stati capaci di comunicare e tessere relazioni e abbiamo vissuto l'azione di opposizione in forme organizzative frammentarie. Ma non si può dare a Gheddafi la patente di rappresentante di un'idea di socialismo. Gli errori di questo tiranno non si limitano agli ultimi dieci anni, come sostiene il compagno Parlato (il manifesto, 27 febbraio), ma risalgono a ben più lontano.
Gheddafi ha sbandierato il vessillo dell'anti-imperialismo e dell'anti-colonialismo, ma sotto il tavolo ha barattato la propria salvezza personale con accordi che hanno aperto la Libia al saccheggio dei paesi ricchi. Siamo consapevoli che il petrolio fa gola a molti. E per questo siamo contrari a ogni intervento militare esterno. L'opposizione ha chiesto una «No Fly Zone» per impedire l'uso dell'aeronautica da parte del colonnello (come sta avvenendo in queste ore su Brega e Ajdabieh).
Gli uomini che formano il governo provvisorio di salute pubblica sono persone che conosco personalmente e sono serie e fidate. Non sono secessionisti né fondamentalisti. La matrice democratica che li spinge a ribellarsi agli ordini del tiranno è fuori discussione. Non dar loro ascolto, sarebbe un grave errore da parte della sinistra italiana e dell'Italia democratica tutta.
Infine, l'autolesionismo. Perseverare nell'errore sarebbe il peggio. Il giudizio positivo che si dava di alcune esperienze dei paesi dell'emisfero sud non vieta la possibilità di una revisione critica. Come avvenne per la critica dei paesi del socialismo reale dell'est europeo, anche oggi è possibile prendere atto della fine di un'illusione. Il giudizio di allora aveva le sue ragioni contingenti e di contesto. La situazione attuale è un'altra. E va riconosciuta per quel che è. Non credo sia lungimirante cospargerci il capo di cenere per gli errori di valutazione e analisi del passato. Ricordiamoci che Mussolini era stato socialista e che Giuliano Ferrara era comunista.
Anche nel ricordo e per monito di quelle sconfitte, cari lettori, continuate a comperare il manifesto, strumento indispensabile per informarsi e discutere del mondo di oggi!
* con lo pseudonimo Abi Elkafi ha scritto sul manifesto molte cronache della rivolta libica.
Lettera pubblicata sul quotidiano "Il Manifesto" il 05/03/2011

sabato 5 marzo 2011

Venerdì 11 marzo si apre la mostra di vignette contro il razzismo

Venerdì 11 marzo 2011 dalle 19.00 alla galleria Orientale Sicula verrà presentata una mostra di “"cartoons”" ideata dall’' inossidabile ottantenne Sergio Staino l'inventore di Bobo intitolata “Nostra patria è il mondo intero. Migranti e briganti”, una carrellata di vignette inedite o già pubblicate sui maggiori quotidiani italiani e nate dalla matite dei maggiori rappresentati della satira italiana, oltre al decano Staino sono presenti le tavole degli altri maestri indiscussi Altan, ElleKappa, Vauro, Staino con la partecipazione del catalano Alfonso Lòpez. La mostra, presenta il tema del razzismo e del diffondersi dei sentimenti di paura e di diffidenza verso chi viene da paesi e culture diverse, ed è una riflessione ironica sulla tendenza a distinguere sempre tra “noi e loro” nel riconoscimento dei diritti fondamentali e di cittadinanza. Presentata a Messina dal Circolo Arci Thomas Sankara è stata realizzata dallArci e dalla casa editrice Feltrinelli. Presentata per la prima volta nella scorsa edizione del Meeting Internazionale Antirazzista dell’Arci a Cecina sta girando per l’Italia con l’obiettivo di interrogarci sulla nostra relazione con i cittadini “senza nazionalità italiana”. La mostra sarà inaugurata da un happening sul razzismo, all’interno del quale la scuola di lingua e cultura araba del Circolo Arci Thomas Sankara presenterà, Fukaha", che in arabo, vuol dire umorismo, una selezione di vignette dal mondo arabo edite sulle testate ufficiali e non. L’evento realizzato in collaborazione con la l’Associazione messinese di artisti Orientale Sicula Settepuntoarte ospiterà un’opera grafica di Pippo Galipò, sul razzismo. Scrive Domenico Starnone nella presentazione della mostra: “ Si Sa che un razzista, salvo casi rari di entusiastica spudoratezza, non si considera mai tale. Ritiene invece di avere prove certe che c’è gente stupida, indolente, pericolosa la quale non solo è incapace per natura di far bene nel paese d’origine, ma ha deciso di far male anche in casa nostra. il razzista non vi dirà mai che questa sua convinzione ha a che fare col colore della pelle o col fatto puro e semplice che si tratta di stranieri, vale a dire persone con lingua, usi e costumi diversi dai suoi. Vi dirà invece, come fanno i nostri governanti, che il problema è la difesa dell’ordine pubblico, la tutela dei confini patrii, il rispetto delle nostre tradizioni, l'’allarme terrorismo……”...
E non dimenticate l'appuntamento del 17 marzo con il film Fratelli d'Italia al circolo.
Le iniziative proposte rientrano nel progetto già presentato alla stampa “Spunti di vista” che si interroga sulla condizione delle giovani generazioni di origine straniera ed è realizzato con il supporto dell’'Unar Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (bando Azioni Positive 2010) insieme all'Arci nazionale ed al Circolo Arci Métissage di Milano. Partner di Messina il Dottorato di Ricerca in Pedagogia e Sociologia Interculturale dell'Università di Messina e il Liceo Statale Ainis-
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