venerdì 22 aprile 2011

Italia: cronaca di una "settimana santa"

OSSERVATORIO PERMANENTE SULLE MORTI IN CARCERE Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”, Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti” 3 detenuti sono morti e 3 hanno tentato il suicidio: dalle carceri la cronaca di un’altra “settimana santa”
Dalle carceri italiane la cronaca di un’altra “settimana santa”, che non è fatta di colombe e uova pasquali, di pranzi e celebrazioni liturgiche. Una settimana di “normalissima” disperazione, di tensioni e violenze, di suicidi, di decessi per droga e per malattia. Tre detenuti sono morti, uno per suicidio, uno per (probabile) overdose, il terzo per malattia. Altri tre hanno tentato di uccidersi, il primo tagliandosi la gola, altri due impiccandosi.
Nel solo mese di aprile sono morti 11 detenuti, di cui 5 suicidi, 2 per malattia e 4 per “cause da accertare”. Da inizio anno salgono a 50 i decessi nelle carceri italiane: 19 per suicidio, 21 per “cause naturali” e 10 per “cause da accertare”. La loro età media era di 35 anni, 15 erano stranieri e 35 italiani; 2 le donne: Loredana Berlingeri, di 44 anni, morta per “cause naturali” il 18 marzo nel carcere di Reggio Calabria ed Adriana Ambrosini, 24 anni, che si è impiccata lo scorso 3 aprile nell’Opg di Castiglione delle Stiviere (Mn).
Firenze, giovedì 21 aprile. Un detenuto nigeriano di 34 anni, W.D., si impicca con una maglietta alle sbarre della sua cella nel carcere di Sollicciano. Per mettere in atto l’intento suicida rientra dal cortile dei passeggi in anticipo rispetto ai compagni e pochi minuti gli sono sufficienti, quando lo trovano è già cadavere.L’uomo era in custodia cautelare con l’accusa di detenzione di droga e di rissa. Era stato arrestato il 5 ottobre scorso assieme alla sua fidanzata e a 3 connazionali dalla Polizia, accorsa per la segnalazione di una rissa tra extracomunitari. Gli agenti trovano 4 nigeriani che si stanno picchiando e una donna, anch’essa nigeriana, che prende a testate un muro urlando a squarciagola. I poliziotti volendo chiarire l'accaduto interrogano la giovane, che ha solo 18 anni e che racconta di essere appena tornata da Amsterdam per incontrare il proprio ragazzo, uno di quelli coinvolti nella zuffa. Gli agenti insospettiti decidono di recarsi nelle abitazioni dei coinvolti nella lite, accompagnati dalla ragazza. Mentre effettuavano il controllo la giovane si accascia a terra accusando mal di pancia. Accompagnata d'urgenza all'Ospedale le vengono trovati in corpo 20 ovuli contenenti cocaina.
Bologna, giovedì 21 aprile. Marzio Berti, detenuto 40enne, verso mezzogiorno si sente male e chiede di vedere il medico. Il sanitario lo visita e poi lo rimanda in cella, perché il malore sembra passato. Invece dopo pochi minuti ha una nuova crisi e crolla sul pavimento, ucciso da un arresto cardiocircolatorio. Inutile l’arrivo dell’ambulanza, l’uomo è senza vita, gli occhi riversi verso l’alto: sospetta overdose, scrive il medico del 118 nel referto. Di eroina, probabilmente tagliata male, entrata non si sa come nel carcere della Dozza. Marzio Berti, tossicodipendente da almeno 20 anni, stava scontando una condanna definitiva per furto, ma aveva alle spalle una lunga serie di reati, tra cui anche un omicidio. Era stato arrestato per la prima volta nel 1994 a Riccione, poco più che ventenne. Da allora, aveva fatto dentro e fuori dalle carceri. Un’esistenza segnata dall’emarginazione e dalla droga, che fa apparire più di una “tragica coincidenza” la morte del fratello minore di Marzio, anche lui tossicodipendente, anche lui ucciso da un’overdose mentre si trovava detenuto nel carcere bolognese, nel novembre 2006.

Palermo, giovedì 21 aprile. Fabio Tranchina, 40 anni, fermato martedì scorso fa dalla Dia di Palermo perché accusato di concorso nella strage di via D'Amelio, tenta per due volte il suicidio in una cella del carcere “Pagliarelli” di Palermo, dove è detenuto in regime di isolamento.
Voghera (Pv), mercoledì 20 aprile. Un detenuto italiano di 30 anni tenta di impiccarsi, approfittando dell’uscita del compagno di cella per “l’ora d’aria”, viene soccorso dagli agenti della polizia penitenziaria, che gli salvano la vita. L’episodio avviene in un periodo di particolare tensione nella Casa circondariale di via Prati Nuovi. Infatti, da circa una settimana una quarantina di reclusi in una sezione di alta sicurezza del carcere vogherese stanno facendo lo sciopero della fame.
Torino, mercoledì 20 aprile. Franco Livraga, 65 anni, muore a causa dell'aggravamento di una malattia di cui soffriva da tempo. L’uomo era stato condannato in appello a 13 anni di carcere, per reati legati allo sfruttamento della prostituzione, ed era in attesa della sentenza della Cassazione.
Trieste, martedì 19 aprile. Houssein Tahiri, detenuto 31enne di origini afghane, rifugiato politico in Italia dal 2007, tenta il suicidio tagliandosi la gola con una lametta nella sua cella del carcere Coroneo. Si salva, soccorso dall'infermiera in servizio in carcere e poi medicato dai sanitari del 118 chiamati immediatamente dalla direzione della Casa circondariale. “Voglio tornare nel mio Paese”, dichiara ai soccorritori. Precauzionalmente viene messo in una cella di isolamento. Arrestato il 25 marzo scorso, dopo che aveva dato fuoco volontariamente alla mansarda nella quale abitava, autoaccusandosi all’arrivo dei Carabinieri. Il 19 ottobre 2010 l’uomo si era cucito la bocca usando un ago e del filo. Un attimo prima aveva bruciato i suoi documenti, provocando anche allora un piccolo incendio nell'appartamento dove era stato accolto dal Centro italiano di Solidarietà. www.ristretti.org


Appello contro il dittatore eritreo Iseyas Afewerki

APPELLO AL GOVERNO ITALIANO PERCHE' STACCHI LA SPINA AL DITTATORE DELL'ERITREA ISEYAS AFEWERKI

Una drammatica notizia proprio di queste ore è il ritrovamento di 68 cadaveri appartenenti a immigrati/profughi che tentavano di arrivare a Lampedusa con un barcone di fortuna in fuga dai paesi dittatoriali. Molti di essi provenivano dall'Eritrea, il paese che è stato definito “il lager-prigione a cielo aperto” sotto la dominazione di quello che ha il dubbio onore di essere stato nominato il dittatore più feroce di tutta l'Africa, Iseyas Afewerki, al potere da ormai quasi vent'anni. Tra le varie ingiustizie e gli abusi che affliggono il paese e che sono stati denunciati dalle organizzazioni per i diritti umani1 spiccano il sawa, cioè la leva militare obbligatoria a tempo indeterminato, la persecuzione dei dissidenti e dei giornalisti2, con la negazione totale della libertà di stampa, come pure la persecuzione delle minoranze religiose. A livello di politica estera, bisogna anche ricordare le sanzioni dell'ONU che “hanno deciso di imporre un embargo sulle armi contro l'Eritrea, accusata di sostenere i miliziani islamisti in Somalia”3.
A fuggire dall'Eritrea sono soprattutto i giovani, in cerca di una prospettiva di vita dignitosa e migliore. Nella maggioranza dei casi, queste fughe vengono intercettate dalle forze del regime e i giovani vengono rinchiusi, appunto, nei gulag a cielo aperto dove subiscono tutte le forme di tortura immaginabili4. In altri casi, quando per fuggire si affidano ai trafficanti possono cadere vittime di ricatti e sequestri com'è capitato agli 80 eritrei sequestrati dai predoni nel deserto del Sinai, tenuti ancora a tutt'oggi in catene fino a quando non avranno pagato un riscatto di 8000 dollari ciascuno5.
I corpi che spesso riempiono quello che è diventato il cimitero del Mediterraneo appartengono ai “fortunati” che evasi dai campi, attraversando tutto il deserto del Sudan, erano riusciti con grandi stenti ad arrivare fino in Libia (una drammatica testimonianza di questi viaggi viene fornita nel documentario “Come un uomo sulla terra”). Qui li aspettava un'altra grossa prova, cioè riuscire a sfuggire agli aguzzini di Gheddafi per poi imbarcarsi fino a Lampedusa.
Con lo scoppio del conflitto in Libia, prima la rivolta e adesso i bombardamenti delle potenze occidentali, i giovani eritrei si sono trovati ad affrontare ulteriori difficoltà, cioè:
1.      sfuggire ai bombardamenti;
2.      nascondersi per non essere scambiati per i mercenari di Gheddafi a causa della pelle nera;
3.      non essere catturati dai rivoltosi libici, a conoscenza del fatto che Iseyas ha mandato tra 200-300 truppe eritree a sostegno dell'amico Gheddafi.
Quindi ancora maggiore si può considerare la sfortuna di questi giovani che erano finalmente riusciti ad imbarcarsi per poi annegare nelle acque del Mediterraneo. E ancora più vergognosa risulta la responsabilità e la complicità dei paesi occidentali, in primis l'Italia. Come per i trattati di favore con il dittatore Gheddafi, l'Italia ha firmato diversi trattati con Iseyas Afewerki6, ottenendo condizioni favorevoli basate sullo sfruttamento dei giovani rinchiusi nei lager. Ci possiamo considerare pienamente complici delle sventure dei giovani Eritrei su tutto l'arco delle loro vicissitudini, prima attraverso l'appoggio al dittatore eritreo, poi a Gheddafi e alle sue politiche di gendarme del Mediterraneo che garantisce il non arrivo via mare dei rifugiati. Siamo poi responsabili della pratica dei respingimenti operati dalle motovedette italiane per i “fortunati” che siano riusciti ad arrivare nel Canale di Sicilia, per non parlare poi della detenzione nei Cie per quelli intercettati su suolo italiano.
Se vogliamo trarre qualche insegnamento da tutta la vicenda della Libia siamo ancora in tempo a lanciare un appello al nostro governo perché rescinda i trattati con Iseyas Afewerki, interrompendo il primo anello della catena di sventure che si abbattono sui giovani eritrei. Siamo chiamati ad agire anche su tutti gli altri anelli, cioè a rivendicare il diritto d'asilo per i profughi, visto che l'Italia risulta essere il paese in Europa che concede asilo al minor numero di richiedenti, come pure batterci  per l’abrogazione della Bossi-Fini e del pacchetto sicurezza che istituisce il reato di clandestinità, la pratica dei respingimenti e i Cie.
Considerato il legame storico che unisce l'Italia alla sua ex colonia eritrea, è fondamentale che chi ha a cuore i diritti umani comprenda l'importanza di agire tempestivamente a livello politico facendo pressioni sul nostro governo perché si muova per favorire mutamenti reali in Eritrea, volti a ripristinare i fondamentali diritti democratici quali libere elezioni, multipartitismo, suffragio universale, etc. Il momento di agire è indubbiamente adesso per evitare altri morti nel Mediterraneo, prima che si scatenino ancora maggiori spargimenti di sangue contro il popolo eritreo, che a differenza delle popolazioni del Maghreb e del Medio Oriente è stretto in una morsa talmente brutale che rende impossibile le eventuali rivolte, verificatesi invece altrove in questi ultimi mesi.
Senza ombra di dubbio l'Italia sarà costretta a fare i conti in maniera pesante – in termini economici, di immagine nel mondo, di coscienza, di conflittualità - se non si affronta all'origine il quadro sopra descritto. Diversamente l'emorragia di questi dannati della terra continuerà a perseguitare le nostre coscienze.

Vi invitiamo quindi a firmare questo appello che verrà depositato presso il Ministro dell'Interno Roberto Maroni e il Ministro degli Esteri Franco Frattini.

Comitato per la solidarietà con i popoli del nord Africa in rivolta, per informazioni contattare Hamid Barole Abdu: 339.5919387, Pina Piccolo: 338.6268250, Patricia Quezada: 339.1923429

Nome                             Indirizzo                                          Telefono/E-mail



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martedì 19 aprile 2011

Tornano i campi di lavoro e conoscenza dell’Arci !

Anche questa volta sono tante le proposte tra cui poter scegliere, per vivere un’esperienza unica, di crescita culturale, di confronto e solidarietà con culture e popoli lontani.

I campi promuovono la cooperazione tra i popoli, la costruzione di percorsi di pace, il sostegno ai movimenti di emancipazione sociale e civile.

Attraverso i campi è possibile vivere la quotidianità della solidarietà internazionale, costruire ponti e relazioni tra comunità del Nord e Sud del mondo anche attraverso l’appoggio a partner locali con esperienza sul territorio.

Le mete proposte per quest’estate sono: Libano, Palestina, Rwanda, Brasile, Colombia, Mozambico, Marocco e per la prima volta Giordania e Kosovo.

Tante le attività previste: da quelle ludico -ricreative per bambini e ragazzi a quelle di conoscenza delle realtà locali, ai workshop fotografici, ai laboratori artistici, a incontri di dialogo e scambio, a lavori di sistemazione e allestimento di una casa di accoglienza per donne.

Per partecipare ai campi non sono richiesti requisiti particolari,basta essere maggiorenni, avere spirito di adattamento e disponibilità al confronto e alla conoscenza di altre culture. È auspicabile la conoscenza dell’inglese o della lingua del luogo in cui il campo si svolge. Prima della partenza sono previsti momenti di formazione obbligatori.

La quota di partecipazione comprende tutti i costi per la realizzazione del campo (aereo, spostamenti in loco, vitto, alloggio, assicurazione civile e sanitaria, accompagnamento, sostegno al partner locale).

Per iscriversi al campo in Mozambico c’è tempo fino al 25 aprile, per gli altri il termine ultimo per l’iscrizione è il 2 maggio 2011. È necessario prendere visione del regolamento pubblicato sul sito http://www.arciculturaesviluppo.it/ , per conoscere le modalità di iscrizione e i dettagli sui singoli campi e sulle modalità di partecipazione.

domenica 17 aprile 2011

Ventimiglia : quale libera circolazione?

 Dichiarazione di Walter Massa, presidente Arci Liguria e Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci nazionale
 
Nonostante la difficoltà a discernere le notizie fondate dalle voci incontrollate, gli avvenimenti odierni di Ventimiglia confermano quanto andiamo denunciando da tempo:  i governi francese e italiano stanno facendo un cinico gioco delle parti sulla pelle di migranti e profughi tunisini. Una volta di più il trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone diventa carta straccia - come già accaduto in passato - quando fa comodo ai governi italiano e francese e l'immotivata interruzione di un pubblico servizio ha impedito a cittadini italiani e non, muniti dei documenti necessari, di esercitare il loro diritto di muoversi liberamente. Il tutto condito da una immotivata e pericolosa tensione che si e' venuta a creare nella cittadina ligure di confine. Il governo italiano ha infatti costretto i viaggiatori dei treni a scendere a Ventimiglia, bloccandoli poi, insieme agli altri manifestanti, nella piazza della stazione, mentre il ministro francese beffardamente dichiarava che il blocco dei treni verso la Francia era "una misura temporanea per ragioni di ordine pubblico motivata dal fatto che era in corso una manifestazione a Ventimiglia". Il treno della dignita ha dimostrato - se mai ce fosse stato bisogno - come le cose dette e scritte in questi giorni circa la libera circolazione europea "purche' in possesso di regolari documenti" sia stata smentita dai fatti. Il Governo italiano non puo' richiamare al rispetto delle regole dell'Unione Europea e chiedere la solidarieta' degli altri Stati membri solo quando fa comodo. Infatti mentre il Ministro Maroni dichiara di attenersi alle regole UE, contemporaneamente attua rimpatri di massa verso la Tunisia contro le disposizioni della direttiva rimpatri. Sarkozy e Maroni dimostrano di avere un unico interesse in questa vicenda: le prossime elezioni.
Ventimiglia, 17 aprile 2011

sabato 16 aprile 2011

TUNISIA, IL TEMPO E’ ORA


TUNISIA, IL TEMPO E’ ORA

Cosa possiamo fare

1. La rivoluzione tunisina ha scelto la via democratica, che necessita un tempo per costruirsi. Ma i giovani che hanno fatto la rivoluzione hanno i tempi corti. La costruzione della democrazia ha dei tempi necessari: la definizione delle regole, l’elezione della Assemblea Costituente, la Costituzione, il nuovo Parlamento. I giovani che hanno fatto cadere il regime chiedono risposte pronte ai loro bisogni, in primo luogo il lavoro. L’energia positiva può trasformarsi presto in frustrazione, e diventare preda delle forze negative che approfittano degli spazi democratici, come il vecchio sistema di potere e gli islamisti. Possiamo fare qualcosa: una campagna per la ripresa del turismo, pressioni per un piano di cooperazione UE per la creazione di lavoro dignitoso, progetti immediati di microcredito.

2. La situazione economica dopo la rivoluzione si è aggravata. Il regime è caduto, ma si è anche fermata molta parte dell’economia. Il turismo internazionale, che costituisce una componente essenziale dell’economia, è fermo. Molti investitori stranieri hanno sospeso la produzione in attesa degli eventi. Le istituzioni transitorie non hanno la legittimità di mettere mano a piani di sviluppo. La pressione sociale è forte, e rischia di diffondersi il malcontento per la rivoluzione incompiuta. Possiamo fare qualcosa: accogliere i migranti per alleggerire la tensione sociale in questo momento delicato, poche decine di migliaia di persone non sono un peso per una Europa disponibile ad aiutare davvero, ma sono una grande mano per la Tunisia.

3. La Tunisia sta cercando di costruire la sua democrazia. Ma una democrazia vera ha bisogno di una forte e organizzata società civile. I giovani tunisini che hanno trovato il coraggio di scendere in strada non hanno mai conosciuto le opportunità che una democrazia offre per esprimersi, organizzarsi, contare. La voglia di partecipazione ha bisogno di strutturarsi, prima delle elezioni del 24 luglio e dopo. Comunque vadano le elezioni, la democrazia così sarà più forte e si potrà meglio difendere da qualunque minaccia. Possiamo fare qualcosa: costruire relazioni con i giovani, le donne, i cittadini in Tunisia, soprattutto nelle regioni periferiche, andarli a trovare e farli venire qui, fare interscambio su associazionismo e partecipazione, rafforzare le organizzazioni già esistenti.

4. Il regime tunisino ha firmato accordi capestro per il paese, sia sull’immigrazione che sul libero scambio. La democrazia presuppone la libertà di riscrivere la propria storia e la propria collocazione internazionale in autonomia, in una relazione di pari dignità. Possiamo fare qualcosa: fare pressioni per le revisioni dei trattati bilaterali e multilaterali, avviare un lavoro di revisione dei trattati con le organizzazioni sociali tunisine ed europee, coinvolgere esponenti di Parlamenti nazionali e istituzioni sovranazionali. documento ARCI

Vittorio Arrigoni risponde a Roberto Saviano (2010)

PER VITTORIO ARRIGONI, UMANO GIUSTO Non c'è neppure stato il tempo di iniziare a mettere in fila le firme sul primo appello per la sua liberazione, che arrivavano a valanga nella notte da ogni angolo di Italia. Vittorio Arrigoni è stato ucciso a Gaza, a trentasei anni, poche ore dopo il suo sequestro. Ogni giorno per anni ci ha raccontato la lotta per la sopravvivenza di due milioni di persone rinchiuse nell'assedio, bombardate, affamate, umiliate.Aveva scelto di stare all'inferno per aiutare a rompere il silenzio. Aiutava con immagini e parole, indipendenti e imparziali come la vita vera, chi volesse raccontare la verità.A parte pochissimi, nessuno guarda a Gaza. E'diventata ormai un buco nero nella cronaca e nella politica.Una gigantesca macchia oscura nell'etica e nella morale collettiva, impastata di indifferenza e di enormi complicità con l'orrore. Vittorio è morto ammazzato. La sua morte oggi strappa il velo sulla Striscia e parla.Che possa parlare davvero a tutti, Vittorio, anche ora che non c'è più.Che semini ancora l'insopportabilità dell'ingiustizia, delle doppie misure, dell'ipocrisia in cui viviamo immersi.Abbracciamo i familiari, l'International Solidarity Movement, gli amici.Ringraziamo le autorità palestinesi che si sono adoperate per la sua liberazione.Siamo a fianco della popolazione di Gaza e dei giovani che si sono mobilitati per salvagli la vita.Rinnoviamo l'impegno contro l'assedio, contro l'occupazione israeliana, per una pace fondata sulla giustizia. Continuiamo l'azione politica, culturale e umanitaria per rompere l'isolamento di Gaza.L'omicidio di Vittorio non sia utilizzato come ulteriore pretesto per impedire la presenza nell'area di volontari, cooperanti e testimoni.Restiamo umani, ci ha sempre ripetuto Vittorio. A qualunque latitudine, facciamo parte della stessa comunità.Ogni uomo, ogni donna, ogni piccolo di questo pianeta, ovunque nasca e viva, ha diritto alla vita e alla dignità.Gli stessi diritti che rivendichiamo per noi appartengono anche a tutti gli altri e le altre, senza eccezione alcuna.Restiamo umani, anche quando intorno a noi l'umanità pare si perda.L'ARCI

domenica 10 aprile 2011

Protezione temporanea per motivi umanitari per cittadini nord africani





E’ stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 81 dell’8 aprile 2011 il testo del decreto firmato dal presidente del Consgilio dei Ministeri per l’istituzione delle misure di protezione temporanea così come previste dall’art 20 del testo unico sull’immigrazione, per il rilascio di un permesso temporaneo di 6 mesi in favore dei cittadini provenienti dal Nord-Africa entrati in Italia dopo il 1 gennaio 2011 e fino alla mezzanotte del 5 aprile 2011.
La domanda alla questura potrà essere fatta entro 8 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta, ovvero entro sabato prossimo. Per informarzioni ed assistenza tel 0906413730 dalle 18:00 in poi.

mercoledì 6 aprile 2011

Sulla tragedia nel canale di Sicilia

Esprimiamo cordoglio e dolore per il terribile naufragio che si è consumato al largo di Lampedusa.
Una tragedia tra le più gravi registrate negli ultimi anni: al momento in cui scriviamo risultano disperse almeno 250 persone delle 300 che trasportava il barcone affondato. Un bilancio che grava pesantemente sulle scelte portate avanti dal Governo italiano e dall'Unione Europea per affrontare il tema dell'immigrazione e la gestione delle frontiere.

Una tragedia così grave non si può imputare al fato, ma è direttamente legata all'impossibilità di ingresso in Italia e in Europa attraverso vie legali, alla completa assenza di un programma per i soccorsi in mare e, come abbiamo più volte denunciato, alla criminalizzazione degli immigrati e dell'immigrazione.

Non si può pensare di affrontare un'emergenza umanitaria preoccupandosi solo di non scontentare il proprio elettorato di riferimento. Si continua a fare propaganda mentre i diritti delle persone vengono ogni giorno calpestati e l'incolumità di migranti e profughi messa in pericolo. Come è dimostrato anche da questo naufragio la sola chiusura delle frontiere non ferma il flusso delle persone in fuga, ma le costringe a scelte disperate e a viaggi pericolosi pagati a caro prezzo.
E' necessario che venga aperto un canale umanitario che garantisca a richiedenti asilo e profughi la possibilità di entrare in Europa in sicurezza, evitando altre inutili morti. In particolare chiediamo di accogliere in Europa i 2000 profughi subsahariani che si trovano al confine tra Libia e Tunisia e i 5000 che si trovano ancora in Libia: migliaia di persone, già in fuga da paesi in guerra e poi bloccate nei campi profughi libici per colpa degli accordi tra il Governo italiano e Gheddafi. Una situazione che pesa sulla coscienza del nostro governo e che ha bisogno di un intervento urgente.
Lanciamo un appello a quanti solcano il canale di Sicilia affinché facciano tutto il possibile per prestare aiuto a coloro che tentano di approdare sulle nostre coste e chiediamo loro di mantenere alta l'attenzione perché non si verifichino più altre tragedie del mare. Comunicato stampa Arci

domenica 3 aprile 2011

Campo rom e adesso?




Il 1 aprile 2011 diventerà una data storica per la città di Messina se l’Amministrazione Comunale manterrà tutte le promesse relative sia alla sistemazione provvisoria (18 mesi) di tutte le famiglie rom, sia al percorso di autocostruzione con la relativa assegnazione definitiva di un alloggio a canone sociale ad ogni famiglia. Si è evitato lo sgombero forzato, di macchiare questa città con l’immagine delle forze di polizia che trascinano via donne e bambini mentre le loro “case” vengono abbattute, un’immagine purtroppo a cui siamo abituati perché nel resto d’Italia, tranne rarissime eccezioni, queste immagini sono state la traduzione dell’inasprimento delle leggi sull’immigrazione, l’effetto del pacchetto sicurezza, le soluzioni dei famigerati “piani nomadi”. Da anni le Amministrazioni Comunali messinesi hanno semplicemente evitato il problema “campo rom”, adottando nel migliore dei casi misere azioni assistenziali, sino al 2 febbraio dell’anno scorso. L’intimazione da parte dell’Autorità portuale di sgombero dell’area di villaggio Fatima, ha fatto si che il Comune avviasse una schedatura, inviando i vigili urbani al campo, azione propedeutica allo sgombero. L’Arci insieme all’associazione Bahktalo Drom del campo rom, ha così promosso la creazione di un Comitato di solidarietà alle famiglie rom residenti a villaggio Fatima, a cui hanno aderito la Comunità di Sant’Egidio, la Caritas, la Chiesa Valdese, organizzazioni, associazioni e partiti della sinistra. Il Comitato ha diffuso un appello ai cittadini messinesi sottoscritto da 3542 cittadini per fermare le ruspe e trovare delle soluzioni alternative allo sgombero forzato, quali l’uso di beni di proprietà comunale, appartamenti sequestrati alla mafia, immobili di proprietà pubblica, ed infine l’autocostruzione ed ha richiesto al Prefetto di garantire la non adozione di uno sgombero forzato ed al Questore il rilascio del permesso per motivi umanitari agli irregolari di nazionalità kossovara. La risposta della Questura, nonostante la presenza di norme e documentazione di organismi internazionali a favore di tale ipotesi, è stata negativa. Quindi, le assemblee fuori e dentro il campo, per decidere le proposte e le forme di dialogo con l’Amministrazione Comunale. La notifica dello sfratto esecutivo alle famiglie presenti nel campo, è stato poi contrastato con un ricorso al Tar. L’Autorità Amministrativa ha intimato all’Amministrazione di procedere con le dovute cautele in considerazione della presenza di minori. La ricerca del dialogo con la città si è concretizzata con l’iniziativa “I rom nella città : iniziativa di inter-azione e riqualificazione urbana”, per la risistemazione di aree degradate di quartieri periferici da parte dei rom, aiuole e spartitraffico di Villaggio Aldisio e zona antistante a Villa Sabin, incontro con i bambini di Camaro e festa con danze tradizionali a Contesse. Dialogo che la città ha rifiutato. Nessun quartiere si è reso disponibile ad accogliere le famiglie rom. Nessuna presa di posizione in difesa del diritto all’abitare dei rom neanche dai grandi partiti che hanno fatto della coesione sociale e della difesa della famiglia le loro linee programmatiche. La rivolta degli abitanti e dei consiglieri di quartiere, cassonetti bruciati e danneggiamenti contro gli immobili sono state le immediate risposte agli annunci dell’Amministrazione Comunale dell’utilizzo transitorio ad uso abitativo per i rom della scuola Nicholas Green a Valle degli Angeli e delle scuole in disuso di Cataratti e Ganzirri. Tutto questo in un contesto non facile, in una città dove l’emergenza abitativa non trova soluzione, il Comune è perennemente sull’orlo del dissesto finanziario ed è quasi impossibile ottenere informazioni sugli alloggi di pertinenza comunale e di quelli sequestrati alla mafia. Non sorprende,quindi, la scelta amara del Comune di identificare gli immobili evitando gli annunci. Non è comunque bastato : un gruppo consistente di abitanti di Bordonaro ha bloccato l’ingresso alla scuola Traina e la strada. Solo dopo molte ore, le famiglie rom sono potute entrate dentro la scuola protette dalle forze dell’ordine. La scuola non era stata pulita ed era pieni di arredi scolastici; solo la buona volontà dei rom e delle organizzazioni, insieme ad un tardivo intervento di una ditta di pulizie, ha permesso di sistemare le stanze. Molti sono i nodi ancora da risolvere : primo fra tutti il destino delle famiglie presenti nella scuola con un titolo di soggiorno e residenza diversa da Via San Raineri, famiglie che hanno potuto regolarizzare la propria posizione dopo il 2 febbraio 2010, data a partire dalla quale l’anagrafe di Messina ha impedito la concessione della residenza al campo. Persone che sono cresciute dentro il campo e che per un dato meramente burocratico sono state discriminate e che entro una settimana dovranno trovare un alloggio. Per due delle famiglie con minori è già prevista l’assegnazione di un alloggio, alle medesime condizioni delle 6 famiglie (nuclei familiari composti da nonni, figli e nipoti), alloggiate nella notte del 1° aprile al Villaggio Matteotti.Infatti, i requisiti previsti dal Comune, per la concessione provvisoria – 18 mesi- di un alloggio comunale, sono il possesso di un titolo di soggiorno, la residenza anagrafica al campo rom, la presenza di minori. Trovare una sistemazione provvisoria per tutte le altre famiglie è la prossima sfida insieme alla loro emancipazione sociale e lavorativa.

Piccolo glossario per i distratti o gli assenti sulla vicenda del campo rom

Piccolo glossario per i distratti o gli assenti sulla vicenda del campo rom:

1) sgombero: dal dizionario italiano: sloggiare,disperdere,togliere di mezzo. Quello che è accaduto nella notte tra l'1 ed il 2 non è stato uno sgombero neanche "mezzo". Alla fine di un percorso partecipato e fitto di assemblee con le famiglie rom tutti hanno concordato sulle modalità del trasferimento che poteva, questo sì, essere serale e non notturno ed invece di inizare alle tre di notte poteva esere iniziato alle 11 o a mezzanotte;

2) Assegnazione delle case: anche quì per i distratti o gli accecati da interessi di partito si sottolinea che negli apaprtamenti di VIll. Annunziata non abitano famiglie tra loro sconosciute come è+ stato più volte ribadito da esponenti pacificisti di questa città. I nuclei sono tutti imparentati tra loro e la scelta è stata condivisa dai nuclei stessi. I criteri di assegnazione non sono stati scelti ovviamente da noi ma dal comune ed erano: titolo di soggiorno, residenza anagrafica al campo e figli minori.I due appartamenti per le altre due famiglie che nessuno ancora è riuscito a vedere saranno consegnati alle famiglie ,che sono state già avvertite ,a dire dell'Amministrazione, entro una settimana.

3) Temporaneo insediamento presso la scuola di Bordonaro: non è piaciuto a nessuno quello che abbiamo trovato: l'alternativa era tra una protesta sterile con donne, bambini e neonati in mezzo la strada o sporcarsi le mani e pulire. Scusateci , ma abbiamo scelto, nell'immediatezza, questa seconda ipotesi e le famiglie rom non ci hanno disprezzato per questo. La scuola in serata è stata poi pulita più a fondo da una ditta di pulizie ed anche i bagni ( fatiscenti) sono stati quantomento puliti ed è stata prevista la distruzione di pasti a partire dalla colazione. Le famiglie rom ci hanno detto che è stato loro assicurata anche l'installazione di docce. 4) Le famiglie che non rientrano nei requisiti indicati dal Comune: cari tutti ecco un problema da risolvere . Requisiamo le case? costruiamo nel giro di una settimana un movimento per le case che in tutti questi anni nessuno è riuscito a costruire e/o neanche pensare compresi i guru cattocomunisti? Se un movimento si cercherà di costruire nel futuro il Circolo Arci Thomas Sankara farà la sua parte, più modestamente ora, poichè non è nostro costume speculare sulla pelle delle persone, continueremo a dialogare con questa amministrazione perchè anche per queste famiglie si trovi una soluzione che li traghetti all'autocostruzione.

5) Autocostruzione: E' un percorso difficile che noi non lasceremo solo in mano all'amministrazione. Così come abbiamo fatto in questi lunghi e difficili anni continueramo a sostenere il percorso di liberazione dai ghetti mentali e fisici dei cittadini rom lottando inseme a loro per la costruzione delle case per tutte le famiglie. Noi riteniamo che anche con un'amministrazione di destra ci si debba confrontare. Il trasferimento e le soluzioni abitative sinora realizzate da questa amministrazione non ci hanno mai convinto. Le abbiamo perà sempre dibattute e condivise con le famiglie del campo in assemblee aperte. Dalle famiglie rom non è mai stata espressa in nessuna occasione la volontà di una radicalizzazione della lotta, abbiamo rispettato la loro volontà. Ci chiediamo : saremo stati in grado di affrontare la radicalizzazione dello scontro?