Lampedusa watching

Apriamo uno spazio dedicato alla fortezza Europa con particolare attenzione a Lampedusa, frontiera Italia.Il circolo Arci Thomas Sankara ha dal 2005 partecipato o promosso inziative specifiche su Lampedusa(Mobilitazioni  RAS -Rete Antirazzista Siciliana, presidio democratico Arci, campo di lavoro, etc).
Inauguriamo lo spazio con la documentazione di alcune compagne e compagni del circolo che hanno partecipato alla staffetta di solidarietà a Lampedusa, nella seconda settimana di maggio.
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Lampedusa, 3 maggio 2011

Partenza dall' aeroporto “Falcone e Borsellino”di Palermo con 30 minuti di ritardo. Già sull'aereo e all'aeroporto di Lampedusa percepiamo un clima particolarmente securitario: numerose sono le forze dell'ordine in borghese e non. Ci accoglie Alexander. Con un furgone – dieci giorni prima perquisito dalle forze dell'ordine – ci accompagna a casa di Annalisa dell' Askavusa (abitazione in cui soggiorneremo per tutto il periodo di permanenza) e successivamente nella sede dell'associazione. I membri in questo periodo sono impegnati nell'organizzazione del festival di Lampedusa, oltre che nella normale attività di assistenza ai migranti.
Decidiamo subito di fare un giro di perlustrazione nella zona del porto. Percorriamo tutta la via Roma e giungiamo al Porto Vecchio. Mentre siamo impegnati a fotografare un relitto semi-affondato un abitante del luogo si avvicina a noi lamentandosi con un suo concittadino della mancata bonifica del molo antistante da parte delle istituzioni competenti. Per assicurarsi che anche noi potessimo ascoltarlo, afferma ad alta voce che “questi turisti” - anziché valorizzare il lavoro faticoso dei lampedusani e soffermarsi sulla bellezza delle spiagge dell'isola – riportano all'esterno (in particolare sul web) un'immagine parziale della realtà: quella che concerne gli sbarchi dei migranti.
Sotto il “belvedere” scorgiamo uno spazio incuneato tra le rocce, ma visibile ad un occhio attento, all'interno del quale troviamo: giacigli improvvisati con materassi di gommapiuma e coperte, indumenti, bacinelle, sedie, resti di una brace e una griglia, escrementi, etc. Ci sembrano tutti segni evidenti della recente permanenza di qualcuno.
Nel pomeriggio, con il furgone delle brigate di solidarietà attiva, ci rechiamo al Porto Nuovo, vicino alla zona militare con accesso vietato. Lungo il percorso notiamo diversi striscioni con su scritto: “Basta!Siamo pieni”, “I lampeduSanti dicono basta”, “Lombardo, Lampedusa è stata sempre siciliana”. Al confine con la zona militare un manifesto attira la nostra attenzione: “Un sorriso per la stampa: mentre si susseguono i soccorsi per i migranti, Lampedusa rischia di scontare l'effetto di un linguaggio ansiogeno ed emergenziale - composto da informazioni sommarie, disarticolate, riduttive e a volte false – dei mezzi di comunicazione, che presentano l'arrivo dei migranti come un'aggressione, un assedio, e una minaccia di cui aver paura, tra l'altro senza avere alcun rispetto per chi arriva in condizioni disumane e soffre, e vanificando i risultati economici-turistici faticosamente raggiunti in questi anni dagli abitanti di Lampedusa. STOP AL REALITY SHOW”.
Osservando attentamente il Porto Nuovo non scorgiamo alcuna tettoia - eccetto due all'interno dell'area militare – né bagni chimici. Di fronte all'hotel “Paladini di Francia” iniziamo a discutere con alcuni tecnici della Rai, che ci raccontano di essere appostati lì da 3 giorni e che per tutta la giornata non era accaduto nulla di rilevante – eccetto ordinari spostamenti di controllo da parte delle navi della finanza e della guardia costiera. Indicano i rifiuti e i resti inquinanti di alcuni barconi sequestrati dopo gli ultimi sbarchi: ci spiegano che, nonostante la protezione civile abbia ottenuto l'appalto – e dunque un congruo finanziamento - per lo smantellamento, versano in un totale stato di abbandono e non sembra essere avvenuto alcun recente intervento. Uno dei tecnici ci racconta che l'hotel in cui risiedono è occupato quasi interamente da troupes televisive, giornalisti e studiosi: secondo lui il turismo non risente affatto delle conseguenze degli sbarchi. 
In seconda serata ci rechiamo alla stazione marittima: una postazione della Croce Rossa (un grande tendone) occupa lo spazio antistante.
Poiché raccogliendo vari pareri (i ragazzi dell'associazione, il tecnico della Rai) si era palesata la possibilità di sbarchi notturni - viste le favorevoli condizioni climatiche -, decidiamo di organizzarci in due turni (dalle 4 alle 7) e di recarci al porto. Ore 4-5: Lampedusa dorme. Sia al Porto Vecchio che alla stazione marittima tutto è quieto e nulla sembra preannunciare novità rilevanti. Ore 6-7: con le prime luci dell'alba nessuno sbarco, solo alcuni pescatori raccolgono le reti.
IMPRESSIONI
E' il primo giorno di permanenza. Sebbene non siamo ancora in grado di trarre conclusioni definitive, sicuramente ci sentiamo di sostenere che sotto una coltre di apparente ordine e tranquillità, v'è un malcelato clima assolutamente securitario: l'isola è militarizzata da cima a fondo (finanza, carabinieri, militari,polizia).
Inoltre ci appare indefinito il ruolo di alcuni cittadini che insistentemente, anche nelle ore notturne, sembrano perlustrare l'isola. Ci è capitato di notarli spesso nel corso della giornata ma, in particolare in tarda serata, mentre rientravamo dalla stazione marittima, ci siamo sentiti più volte gli occhi addosso; addirittura alcune macchine rallentavano, i passeggeri ci osservavano con attenzione e in modo sospettoso: sembrava che volessero capire chi eravamo, cosa facevamo, perché ci trovavamo lì. Ci riserviamo di comprendere meglio nei prossimi giorni il funzionamento del sistema di controllo lampedusano.
Lampedusa, 4 maggio 2011
In mattinata ci rechiamo ad un autonoleggio per affittare una macchina e ci intratteniamo in una discussione con il proprietario. Gli chiediamo quale sia, a suo avviso, l'impatto dei flussi migratori sull'isola: il suo parere è che il turismo – principale fonte di reddito per gli abitanti di Lampedusa - potrebbe subire un rilevante contraccolpo negativo in particolare nei mesi di luglio e agosto.
Se da un lato è vero che finora l'isola ha visto la presenza numerosa di giornalisti poliziotti, carabinieri,esercito, dall'altro – continua il proprietario dell'autonoleggio – è qualitativamente differente il turismo su cui i lampedusani vorrebbero puntare.
Ci spiega inoltre che, a suo parere, le strutture alberghiere e i locali che stanno traendo giovamento dallo stato attuale delle cose sono esclusivamente quelli che hanno stipulato convenzioni con le forze dell'ordine.
Sembra concordare con noi sul fatto che le responsabilità delle problematiche avvertite dai cittadini lampedusani ricadono principalmente sulla gestione politica di questa vicenda e sulla narrazione emergenziale che viene riportata all'esterno.
Nel pomeriggio ci rechiamo al cimitero dei barconi al Porto Nuovo. L'ingresso è sorvegliato da una camionetta dell'esercito, ma riusciamo comunque a introdurci all'interno e a scattare alcune foto. Ci sembra di notare che nei natanti manchino le apparecchiature elettroniche e meccaniche. Ci sono chiari segni che tra le imbarcazioni siano stati improvvisati accampamenti con tende, tavole di legno e coperte.
Proseguiamo verso il CSPA di contrada Imbriacola. Attraverso sentieri sterrati arriviamo alle spalle del centro. La nostra presenza catalizza immediatamente l'attenzione dei militari presenti nelle otto postazioni (queste quelle che riusciamo a individuare chiaramente) che circondano la cava occupata dal centro. Tentiamo di avvicinarci, ma tempestivamente siamo esortati a non proseguire oltre. La distanza “di sicurezza” è di circa 20 metri: ci sembra evidente che, com'era prevedibile, questa distanza serva a impedire qualsiasi comunicazione dell'esterno con i migranti.
Ogni nostro spostamento è attentamente monitorato: ci viene impedito di filmare e fotografare il centro.
Ad un certo punto anche i migranti si accorgono della nostra presenza: ci indirizzano saluti e ampi sorrisi dalla scala che collega una delle ale del centro con il cortile interno e dalle finestre delle stanze.
Dalla nostra postazione riusciamo a individuare tre padiglioni principali. Contiamo almeno una cinquantina di migranti: sono prevalentemente sub-sahariani. Echeggia una voce che sembra elencare una lista di nominativi; i migranti sono disposti a semicerchio e ascoltano con attenzione. Dalla nostra visuale non riusciamo a individuare chi stiano guardando.
Davanti l'ingresso sostavano, oltre alcune macchine delle forze dell'ordine, un pullman della cooperativa “LampedusAccogliente” e una ambulanza. Il fastidio delle guardie per la nostra presenza diventa sempre più manifesto e decidiamo di allontanarci.
Ci risulta che alle ore 20.00 possa partire un volo che trasferisca alcuni migranti (destinazione a noi ignota). Dunque, ci dirigiamo verso l'aeroporto. Alcuni di noi tentano di estorcere informazioni alla reception. I funzionari tentano di glissare rispondendo vagamente, infine confermano quello che è già noto: alcuni voli di migranti partono da lì, ma per oggi sembrano non esserne previsti. Contemporaneamente, infatti, due di noi riescono a intrufolarsi dentro la pista che appare deserta.
Verso le ore 22.30 decidiamo di perlustrare il porto: sembra non essere previsto nessuno sbarco, come ci verrà successivamente confermato da una ragazza dell'OIM.
IMPRESSIONI
E' trascorso un altro giorno e ci sentiamo di confermare, senza reticenze, il fatto che l'isola versa in uno stato di totale militarizzazione. La presenza onnipervasiva delle forze dell'ordine, inibisce l'esigenza innata di pluralismo del lampedusano - luogo che, geograficamente, sarebbe portato ad essere un crocevia di scambi culturali e sociali. Le mimetiche dei militari, che presidiano la vallata attorno al centro, contrastano con l'impellente bisogno di libertà e di speranza che esprimono i volti dei migranti. Vivere una situazione come questa – totalmente differente dalla nostra realtà quotidiana e distante dalla narrazione spettacolarizzata dell' “emergenza Lampedusa” - ci palesa tutta la violenza e l'inadeguatezza dei provvedimenti governativi sull'immigrazione. Dalle finestre del centro di contrada Imbriacola l'atteggiamento espansivo dei migranti nei nostri confronti – seppur per pochi istanti fugaci – rimarca la nostra impotenza dinnanzi a una ingiustificata e ingiustificabile ghettizzazione.
Lampedusa, 5 maggio 2011
Oggi, intorno alle 12.00, veniamo casualmente a conoscenza di un imminente sbarco previsto al porto vecchio. L'accesso alla stazione marittima è controllato dalle forze dell'ordine che ci chiedono chi siamo e per quale motivo intendiamo entrare. Ci presentiamo come studenti impegnati in una ricerca e dopo una loro lieve remora iniziale ci viene accordato il permesso. Il molo è presenziato da: UNHCR, IOM-OIM, NIHMP, Save the children, Medici senza frontiere, Croce Rossa, Askavusa, oltre a Guardia Costiera, Guardia di finanza, Polizia, Carabinieri, Esercito e agenti in borghese.
Alle ore 13.08 giunge al molo, scortato dalla Guardia di finanza, un barcone proveniente dalla Libia. Il soccorso è avvenuto a circa 4 miglia da Lampedusa. A bordo sono presenti 216 persone di cui 209 uomini, 6 donne e una bambina di circa 6 anni. La minore insieme ai due genitori e alle altre 5 donne vengono fatti scendere e assistiti per primi. Ci sembra di individuare fra i vari volti alcuni minorenni ma non notiamo un trattamento particolare nei loro riguardi.
I migranti vengono fatti sedere di fronte all'imbarcazione in attesa che tutti scendano. Qui, i volontari presenti si accertano delle generali condizioni di salute con i limitati strumenti a disposizione: osservazione diretta e interrogazione dei migranti stessi.
Nonostante la generale spossatezza dovuta alle condizioni del viaggio (i migranti hanno viaggiato stretti in uno spazio di circa 10x4 m) lo stato di salute è mediamente buono ad eccezione di due uomini che vengono avvicinati all'ambulanza ma ricondotti poco dopo al gruppo e di un giovane a cui viene fornita una coperta termica.
Il gruppo viene indirizzato verso la tettoia adiacente alla stazione marittima dove riceve una prima assistenza che consiste nella distribuzione di bottiglie d'acqua e merendine.
Da parte delle forze dell'ordine inizialmente non c'è alcuna particolare limitazione per i volontari e i giornalisti cui viene data la possibilità di comunicare con i migranti. Il nostro gruppo, infatti, riesce a consegnare a tutti il volantino con il numero verde patrocinato dall'Arci cui è possibile richiedere supporto legale (informazioni su permesso di soggiorno per motivi umanitari, asilo politico, status di rifugiato etc.). Tentiamo di comunicare direttamente con alcuni migranti – convinti che fosse possibile, visto che sotto la tettoia erano numerosi i volontari delle associazioni a farlo – e riusciamo a carpire alcune informazioni: il barcone era partito da Tripoli ed erano presenti congolesi, nigeriani, ghanesi, bengalesi, maghrebini; non ci risultano né decessi né dispersi.
Improvvisamente, senza darci spiegazione, un agente in borghese ci intima di allontanarci: malgrado alcune lievi tensioni riusciamo a riavvicinarci e ad attendere fino a quando i migranti vengono fatti salire sui pullman di “LampedusAccoglienza” (cooperativa Sisifo) e trasportati al centro di contrada Imbriacola.
Nel pomeriggio, alle ore 15.47, sbarca alla stazione marittima una motovedetta della Guardia Costiera con a bordo 51 tunisini. Sono tutti uomini: nessuna donna e nessun bambino. Ci accorgiamo che i migranti subiscono da parte delle forze dell'ordine un trattamento estremamente differente rispetto a quanto era avvenuto durante il primo sbarco: man mano che scendono dalla barca vengono fatti schierare uno a fianco all'altro, disposti frontalmente rispetto ad un cordone della polizia che impedisce qualunque forma di contatto (verbale e fisico) con il resto dei civili presenti al molo. Non riusciamo a capire se sono presenti minori. Ad uno di loro viene fornita una coperta termica; due vengono caricati sulle barelle. Sentiamo dire che le misure di sicurezza, trattandosi di tunisini, sono più restrittive. Ed infatti ci viene impedito di avvicinarci ai migranti. Le foto e i video, che tentavamo di fare in maniera più discreta possibile, infastidiscono un poliziotto presente che sia avvicina e ci chiede se siamo accreditati ad un giornale, se abbiamo un tesserino da giornalisti. Ci intimano di smettere di filmare: i poliziotti non vogliono esser ripresi. Noi spieghiamo che è difficile filmare solo i migranti, considerata la loro ingente e ingombrante presenza, e continuiamo a documentare quello che stava accadendo. Non riusciamo a distribuire i numeri verdi. Nel giro di poche decine di minuti la stazione viene sgomberata e i tunisini caricati sul solito pullman.
Mentre ci intratteniamo in una discussione con alcuni civili – anche loro presenti per il nostro stesso motivo – ci accorgiamo che dal tendone della Croce Rossa un migrante in barella viene trasportato dentro l'ambulanza. Proviamo a inseguirli ma ne perdiamo le tracce. Ci rechiamo, comunque, al poliambulatorio ma lì di fronte non ci sono volanti della polizia: solo due ambulanze vuote, parcheggiate. Questo ci fa ipotizzare che il tunisino sia stato trasportato direttamente al centro.
 Nel tentativo di comprendere dove fossero diretti i pullman su cui erano stati caricati i migranti, ci rechiamo al centro in contrada Imbriacola: ci affacciamo dal retro (tentando di avvicinarci alla stessa postazione che avevamo raggiunto nel pomeriggio di ieri) ma questa volta la distanza di “sicurezza” segnalataci dai militari è notevolmente maggiore (10 m circa più distante dal centro). Da lì riusciamo comunque a notare che il numero dei migranti è aumentato: tra i presenti individuiamo alcuni di quelli sbarcati in giornata; vengono fatti entrare due a due in un padiglione all'ingresso del centro e uscire (sempre in coppia) con dei sacchi azzurri in mano. Anche oggi ci sembrano prevalentemente sub-sahariani.
 In serata ci rechiamo nuovamente al porto vecchio per verificare eventuali altri sbarchi. Sono le 20 e 15 e un barcone proveniente dalla Libia è arrivato da pochi minuti scortato dalla guardia di finanza. Sul molo troviamo già una ventina di migranti sub-sahariani che ricevono le prime assistenze dai volontari. In tutto sono arrivate 232 persone di cui 14 donne e due minori, uno dei quali di circa 2 anni che viene platealmente esposto agli obiettivi dei fotografi, ma per il quale manca il latte.
Il gruppo viene condotto sotto la tettoia della stazione marittima, molti uomini sono bagnati e infreddoliti, ma mancano i vestiti e gli vengono quindi fornite solo coperte termiche e semplici plaid. Solo più tardi i volontari della Askavusa tenteranno invano di consegnare un pacco con degli abiti di ricambio, viene infatti impedito loro di accedere al molo.
L'atmosfera appare, questa volta, molto più rilassata - ai limiti del lassismo.
Riusciamo infatti ad avvicinarci al gruppo e capiamo che è formato prevalentemente da ghanesi, senegalesi, malesi, bengalesi e pochi maghrebini.
Mentre un primo gruppo di circa cento persone riceve acqua e merendine si evince tensione tra guardia costiera e guardia di finanza: sta per arrivare un nuovo barcone scortato dalla guardia costiera che a causa del mancato preavviso si accavallerà al precedente.
A questo punto il centinaio restante di migranti viene frettolosamente condotto al pullman senza ricevere cibo e acqua. A nessuno è consentito l'accesso alle toilette, nonostante molti esplicitassero questa necessità.
Alle ore 21.00 al molo giunge un altro barcone, questa volta scortato dalla Guardia Costiera, con 264 persone a bordo di cui 14 donne e 5 minori. Il primo gruppo, formato da un centinaio di migranti, viene immediatamente condotto su un pullman, senza che abbia ricevuto alcun tipo di assistenza. Il secondo gruppo invece viene fatto sedere a terra e, in attesa dell’arrivo del pullman che avrebbe trasportato i migranti al centro di contrada Imbriacola, vengono distribuiti acqua, merendine e qualche plaid. Al termine dell’operazione tre di noi vengono avvicinati da un paio di poliziotti e vengono identificati, senza che venga data alcuna spiegazione ma giustificando l’avvenuto come un “semplice controllo”.

Vogliono rimandarci, chiedono dove stavo prima,
quale posto lasciato alle spalle.
Mi giro di schiena, questo è tutto l’indietro che mi resta,
si offendono, per loro non è la seconda faccia.
Noi onoriamo la nuca, da dove si precipita il futuro
che non sta davanti, ma arriva da dietro e scavalca.
Devi tornare a casa. Ne avessi una, restavo.
Nemmeno gli assassini ci rivogliono.
Rimetteteci sopra la barca, scacciateci da uomini,
non siamo bagagli da spedire e tu nord non sei degno di te stesso.
La nostra terra inghiottita non esiste sotto i piedi,
nostra patria è una barca, un guscio aperto.
Potete respingere, non riportare indietro,
è cenere dispersa la partenza, noi siamo solo andata.”
Erri De Luca  

 6 e 7 maggio 2011     
Intorno alle 15,00 al molo della stazione marittima giunge un barcone con a bordo circa 200 migranti, tra cui alcune donne e minori, prevalentemente sub-sahariani. Vengono immediatamente riuniti tutti sotto la tettoia del porto e circondati da un cordone di polizia che li sorveglia; intanto le associazioni e le Ong svolgono le normali operazioni di prima assistenza. Nel tentativo di avvicinarci, tuttavia, veniamo bloccati da alcuni agenti, che ci impongono, come unico possibile interlocutore, il responsabile capo della polizia che risulterà, però, introvabile.
Seguiamo un’ambulanza che trasporta quattro migranti al poliambulatorio ma, giunta all’ingresso del pronto soccorso - senza neppure farli scendere -, riparte in direzione del CSPA.   
Intorno alle 16.30, a Cala Pisana, iniziano le operazioni di imbarco sulla nave mercantile Excelsior (in tale fase la polizia svolge controlli al metal-detector). Alcuni giornalisti lì presenti ci comunicano che il natante è diretto a Manduria e che, entro la fine della giornata, caricherà circa mille persone (anche in questo caso sono prevalentemente sub-sahariani). Mentre siamo ancora lì giungono vari automezzi - sovraffollati da migranti di ogni età e sesso - la maggior parte dei quali, quando non anonimi, di “LampedusAccoglienza” e “Nuova Lampedusa”, insieme ad un’ ambulanza. Sul luogo sono presenti carabinieri, finanzieri e agenti in borghese.

L’ attività di giorno 7 comincia concitatamente e in piena notte: alle ore 03.20, alla Stazione Marittima, giungono circa 700 persone, non mancano donne (40 ca.), minori e infanti, e migranti bisognosi di cure immediate. Sulla banchina sono pochi i volontari: riusciamo ad individuarne certamente uno di “Save the Children” e alcuni dell’ “INMP”. Nonostante ciò, ci viene impedito di accedere al molo durante tutta la durata delle operazioni: alcuni poliziotti successivamente ci chiariranno di aver avuto precise disposizioni di tenere lontano in particolare noi cinque.
Questa esclusione non ci impedisce di seguire quello che accade sul molo, dal momento che riusciamo a sfruttare come punti di osservazione l’ingresso e la scogliera adiacente alla stazione marittima.
Per primi vengono fatti scendere donne e minori: alcuni, dopo un’approssimativa e frettolosa assistenza medica, sono caricati sui furgoncini di “LampedusAccoglienza”, altri vengono condotti sotto il tendone della Croce Rossa.  Man mano che sulla banchina si affollano i migranti la situazione diventa ingestibile dato lo scarso numero di volontari. Cominciano, come il giorno prima, a sovraffollarsi i pullman, ma con il determinante discrimine dell’assoluta mancanza di una pur minima forma di assistenza – frutto, anche questo, dell’esiguo numero di volontari presenti (mancano addirittura coperte e acqua). Circa mezz’ora dopo l’inizio delle operazioni di sbarco, l’arrivo delle prime coperte, assolutamente insufficienti nel numero, è causa di una rissa - protrattasi fino all’intervento intempestivo delle forze dell’ordine presenti. Poca è l’acqua fornita ai bisognosi, peraltro con un’ora di ritardo; manca e mancherà il cibo. Partono due  pullman e cinque furgoni, stavolta senza neanche una parvenza d’ordine, o precedenza per donne e minori; sono diretti alla base Loran. Intorno alle 05.30 rientrati al porto, troviamo ancora in attesa dell’ultimo mezzo, oltre agli uomini, sorprendentemente donne e bambini che con evidente incuria vengono condotti alla Loran per ultimi.