domenica 8 febbraio 2009

Report da LAMPEDUSA del 7 febbraio 2009 della delegazione Arci

Siamo in macchina sulla strada di campagna che porta al nuovo CIE - Centro Identificazione ed Espulsione -di Lampedusa, pochi giorni prima Centro di Primo Soccorso ed Accoglienza, in contrada Imbriacola. A 500 metri dal CIE un posto di blocco della polizia ci ferma e dopo aver chiesto le nostre generalità ci pone una domanda curiosa “ Ci sono dei giornalisti con voi?". Rassicurati dalla nostra risposta negativa ci fanno passare. Arriviamo al cancello del CIE, entriamo. Dovunque vi sono forze dell’ordine ( polizia, guardia di finanza) e camionette, davanti alla “ gabbia” interna vi è il pieno di poliziotti tutti in assetto antisommossa. Il numero degli agenti in servizio al centro è di 350 unità. Entriamo nella “gabbia” accerchiati da poliziotti per la nostra “ sicurezza” e da un ingresso laterale. Subito i reclusi urlano, intorno sudiciume e strutture degradate: urlano le loro storie, la rabbia, la disperazione. Alzando lo sguardo vedi un muro di teste , mezzi busti che penzolano, agitano le mani, le braccia attraverso le sbarre che chiudono le finestre delle “ celle “ del secondo piano della struttura centrale e gridano “ Libertà “ “Libertà”.
Si cerca di far capire chi siamo e lo scopo della nostra presenza. Trattati da persone i migranti- detenuti si siedono in cerchio creano attorno al cerchio un muro di carne e ascoltano il nostro interprete. Altri affannosamente( il tempo è breve) mostrano le ferite , accusano le guardie di maltrattamenti, raccontano storie drammatiche di separazione e morte, mostrano i provvedimenti di respingimento , di trattenimento ed il cartellino dal quale risulta la data del loro arrivo al CIE ( data dello sbarco). Tempo medio di permanenza : un mese, un mese e mezzo; data dei provvedimenti di respingimento febbraio, così come di febbraio sono le convalide del trattenimento: il controllo giurisdizionale della privazione della libertà personale che per legge deve avvenire entro 96 ore, a Lampedusa- CIE avviene dopo un mese- mese e mezzo.
E’ legittimo chiedersi: quale è stato il controllo giuridico operato dal Giudice di Pace per le convalide a Lampedusa ed ancora : gli avvocati di ufficio (n. due per tornata di convalide ) come hanno garantito il diritto di difesa ai loro assistiti non ritenendo di rilevare la palese violazione della privazione illegittima della libertà personale? La lettura dei provvedimenti di respingimento rende nervoso un poliziotto: con un violento colpo del casco di ordinanza ferma la mano che prendeva appunti e spezza la penna. Si esce dalla gabbia seguiti dalle richieste di aiuto urlate da centinaia di migranti- detenuti. Tutti vorrebbero parlare con un avvocato , essere difesi. In una stanza esterna alla “ gabbia” si trovano 9 dei 15 migranti- detenuti che hanno tentato di uccidersi: con lamette, con le corde, infettando coscientemente le proprie ferite. Non hanno più speranza di poter raggiungere le famiglie, i sogni.
Ci siamo chiesti: e la possibilità di richiedere asilo?
Su informazione apprese dall’ACNUR i migranti_ detenuti sono informati del diritto d’asilo e possono da soli inoltrare la domanda presso il posto di polizia del CIE.
Tutto và per il meglio.
A sera altri migranti – detenuti decidono di uscire dal CIE suicidandosi.
Avv. Carmen Cordaro

sabato 7 febbraio 2009

Alaà Abu Rob, 21 anni, profugo palestinese, trucidato dall’esercito israeliano.

Un'altra tragedia si è consumata in Palestina, in Cisgiordania, vicino a Jenin, nel villaggio di Quabatya il 5 febbraio. Il Circolo Arci Thomas Sankara da sempre al fianco del popolo palestinese ha esposto sulla propria porta il segno del lutto ed è vicino alla famiglia di Alaà, nipote della dirigente dell’associazione dott.ssa Rana Abu Rub. La notizia girata sui media è trattata come l’ennesimo episodio di guerra, un’operazione dell’esercito israeliano per fermare un “pericoloso miliziano” della Jihad Islamica. Le fonti ovviamente sono sempre quelle della forza occupante: Israele. Le notizie raccontate dal fratello Mohammed, invece, ci parlano di crimini di guerra, tortura, violazione dei diritti umani. Alla 4:30 di notte circa 70 soldati, 30 con il volto coperto, hanno fatto esplodere la porta di casa dei genitori del ragazzo e sono penetrati all’interno, mentre la famiglia dormiva, i genitori e gli otto fratelli. Alaà era ancora sveglio davanti il computer,nel salotto di casa, il fratello Mohammed era accanto, disteso sul suo letto. Hanno sparato,come in un’esecuzione, alla testa di Alaà per ucciderlo, il fratello a pochi centimetri è rimasto fortunatamente illeso. Solo dopo l’assassinio ed aver legato il fratello, i soldati hanno chiesto se il ragazzo ucciso era armato – non aveva armi – e i documenti dei due fratelli. I genitori ed gli altri fratelli risvegliati dall’esplosione e dagli spari sono accorsi in salotto, alle grida ed alle lacrime della madre disperata i soldati hanno risposto di smettere o avrebbero ucciso tutta la famiglia. Fatti uscire i familiari a forza dalla casa, hanno fatto implodere l’edificio con il corpo di Alaà dentro. Il ragazzo era stato imprigionato la prima volta per 8 mesi, torturato e costretto a confessare “determinate cose” come resistente palestinese, due anni fa si era costituito volontariamente per paura di ennesime rappresaglie, recluso per 16 mesi e liberato solo 3 mesi fa, era tornato a casa confessando alla madre : non voglio più costituirmi perché nessuno può immaginare le torture a cui sono stato sottoposto. Le notizie ufficiali parlano di Alaà come ricercato, la condizione permanente di ogni resistente palestinese non appartenente all’Autorità palestinese, come se potesse esistere una condizione simile, con una pena che non finisce con la reclusione e un processo equo e regolare ed un trattamento con umanità, ma queste prerogative delle convenzioni internazionali valgono per la maggior parte delle popolazioni, non certo per il popolo palestinese. Chiediamo, soltanto il rispetto delle convenzioni internazionali, il divieto di uccisione di persone prive di mezzi di difesa, di violare la dignità umana utilizzando trattamenti inumani e degradanti, di distruggere da parte della potenza occupante immobili civili, di compiere rappresaglie, di torturare i prigionieri…. Tutto ciò produce solo odio, un ragazzo di 21 anni detenuto per anni, torturato, sotto minaccia.. Non c’è speranza di pace - sotto assedio - finché non si metterà fine ad un’occupazione ingiusta e criminale..
A breve il circolo organizzerà un incontro per distribuire materiali su questa ed altre storie sotto l’occupazione