venerdì 23 gennaio 2009

Emergenza somali, conferenza stampa 24 gennaio

Più di cento profughi somali a Messina da quasi un mese aiutati dal volontariato: sull’argomento il Circolo Arci “Thomas Sankara” lancia un appello alle istituzioni – rivolto al Comune di Messina e alla Prefettura – con una Conferenza stampa sabato 24 gennaio, alle 11, presso il Salone degli Specchi della Provincia Regionale di Messina.
“Il volontariato non basta, né ce la può fare da solo. Occorre che le istituzioni intervengano, per ridurre drasticamente i tempi per la concessione del permesso di soggiorno e del titolo di viaggio, e per prendersi carico del problema dell’alloggio. Sono in procinto di arrivare almeno altri cento profughi. Dove li faremo alloggiare? Mentre Messina viene sinistramente inclusa tra le realtà nazionali dove i migranti muoiono all’aperto, per il freddo, le istituzioni non possono agire solo quando scoppia il caso eclatante e drammatico, ma occorre puntare sulla prevenzione, nel segno dell’accoglienza”: è la denuncia del Circolo Arci “Thomas Sankara” di Messina.
Alla Conferenza stampa interverranno Carmen Cordaro, presidente dell’Arci Territoriale di Messina e avvocata impegnata nel campo dei diritti dei migranti, il docente universitario e presidente del Cesv – Centro Servizi per il Volontariato, Antonino Mantineo, e i rappresentanti del Terzo Settore e del volontariato che hanno affrontato con generosità l’emergenza dell’alloggio. Sono stati invitati alla Conferenza stampa l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Messina, Pinella Aliberti, l’assessore comunale all’Integrazione, Dario Caroniti, e l’assessore alla Solidarietà sociale della Provincia Regionale di Messina, Pio Amadeo.

L’emergenza

Più di cento profughi somali si trovano da almeno tre settimane a Messina, dopo essere stati chiusi dai quattro ai cinque mesi nel Centro di emergenza a Sant’Angelo di Brolo. Più di cento persone, tra uomini e donne, che, dopo la valutazione positiva della Commissione di Trapani, sono in attesa del titolo di viaggio e del permesso di soggiorno, in quanto migranti sfuggiti a una realtà violenta nel loro Paese e dunque titolari del diritto di asilo in Italia e nell’ambito della Comunità Europea. Più di cento profughi inviati da Sant’Angelo di Brolo e attualmente ospitati a Messina solo grazie all’ospitalità e agli sforzi del volontariato, con l’impegno comune del Circolo Arci “Thomas Sankara”, della Caritas, dei Centri d’accoglienza, della cooperativa sociale “Scirin” (che gestisce il Forte San Jachiddu), del Consorzio Sole (gestore di Forte Petrazza) e anche dell’associazione rom “Baktalo Drom
”.

<> venerdì 23

“Muri, lacrime e za’tar. Storie di vita e voci della Palestina”. E’ il titolo del libro di Gianluca Solera che sarà presentato venerdì 23 gennaio, dalle ore 17, presso la sala di ex Chimica, all’interno dell’Università centrale di Messina. Sarà presente l’autore e interverranno i nostri soci : Rana Abu Rub, palestinese e docente di Lingua e Letteratura araba; Katia Pastura, libraia; Giovanni Raffaele, storico e il docente di Filosofia Citto Saija. L’iniziativa è promossa dal Circolo Arci “Thomas Sankara” di Messina. Seguirà il dibattito su un tema particolarmente significativo, tra gli echi della Storia e i richiami drammatici all’attualità.
Il libro “Muri, lacrime e za’tar. Storie di vita e voci della Palestina” è edito da Nuova Dimensione, Portogruaro (Verona), 2007, pp. 243, euro 18.
Gianluca Solera. Dopo molti anni a Bruxelles come consigliere politico del Parlamento europeo, è partito per la Palestina nell’estate del 2004, dove ha vissuto fino alla primavera del 2005. Attualmente è direttore di programma della neonata Fondazione Euro-Mediterranea Anna Lindh per il Dialogo tra le Culture, che ha sede ad Alessandria d’Egitto.

Per informazioni Circolo Arci “Thomas Sankara” di Messina, Via campo delle Vettovaglie, ex mercato ittico, s.n. 98122, tel/fax 0906413730 – 3926174488, e-mail circolosankara@tiscali.it, http://arcisankara.blogspot.com.

domenica 11 gennaio 2009

Gaza, perchè odiano tanto l'Occidente, ci domanderemo?












di Robert Fisk *
E così Israele ha nuovamente aperto le porte dell’inferno per i palestinesi: morti 40 civili che si erano rifugiati dentro una scuola delle Nazioni Unite, altri tre in un’altra. Non male per una notte di lavoro da parte dell’esercito che crede nella "purezza delle armi". Ma perché dovremmo essere sorpresi?
Abbiamo dimenticato i 17.500 morti – quasi tutti civili, la maggior parte dei quali donne e bambini – dell’invasione israeliana del Libano nel 1982; i 1.700 civili palestinesi morti nel massacro di Sabra e Shatila; il massacro di 106 civili libanesi che si erano rifugiati in una base dell’Onu – più della metà bambini - a Qana nel 1996; quello dei rifugiati di Marwahin – ai quali gli israeliani avevano ordinato di lasciare le proprie case nel 2006 – e che sono poi stati massacrati dall’equipaggio di un elicottero israeliano; i 1.000 morti di quegli stessi bombardamenti e dell’invasione del Libano nel 2006, quasi tutti civili?
Quello che è incredibile è che così tanti leader occidentali, così tanti presidenti e primi ministri, e. temo, così tanti direttori di giornali e giornalisti, si siano bevuti la vecchia menzogna: che gli israeliani fanno molta attenzione per evitare le vittime civili. "Israele fa ogni sforzo possibile per evitare le vittime civili", aveva detto l’ennesimo ambasciatore israeliano solo poche ore prima del massacro di Gaza. E tutti i presidenti e i Primi ministri che hanno ripetuto questa menzogna come pretesto per evitare un cessate il fuoco hanno le mani sporche del sangue della macelleria di ieri notte. Se George Bush avesse avuto il coraggio di esigere un cessate il fuoco immediato 48 ore prima, quei 40 civili - le donne, i bambini, e i vecchi - sarebbero vivi.
Quello che è successo non è solo vergognoso. E’ stata una indecenza. Crimine di guerra sarebbe un termine troppo forte? Perché è così che definiremmo questa atrocità se a commetterla fosse stato Hamas. Quindi temo che si sia trattato di un crimine di guerra. Dopo aver visto così tanti omicidi di massa da parte degli eserciti del Medio Oriente – dei soldati siriani, di quelli iracheni, di quelli iraniani, di quelli israeliani – suppongo che dovrei reagire in modo cinico. Ma Israele sostiene di stare combattendo la nostra guerra contro il "terrorismo internazionale". Gli israeliani affermano che a Gaza stanno combattendo per noi, per i nostri ideali occidentali, per la nostra sicurezza, per la nostra incolumità, secondo i nostri standard. E quindi anche noi siamo complici della barbarie che adesso si abbatte su Gaza.
Ho riferito i pretesti che l’esercito israeliano ha servito in passato per questi scandali. Dal momento che potrebbero benissimo essere tirati fuori di nuovo nelle prossime ore, eccone alcuni: che sono stati gli stessi palestinesi a uccidere i loro rifugiati, che i palestinesi hanno riesumato i corpi dai cimiteri e li hanno collocati fra le rovine, che in definitiva la colpa è dei palestinesi perché hanno dato il proprio sostegno a una fazione armata, o perché alcuni palestinesi armati hanno intenzionalmente usato i rifugiati innocenti come copertura.
Il massacro di Sabra e Shatila fu commesso dai Falangisti della destra libanese alleati di Israele, mentre i soldati israeliani, come ha rivelato la stessa commissione di inchiesta israeliana, rimasero a guardare per 48 ore senza far nulla. Quando venne attribuita la responsabilità a Israele, il governo di Menachem Begin accusò il mondo di “oltraggio del sangue” [blood libel – il termine originale inglese – indica l’accusa rivolta agli ebrei di commettere omicidi per utilizzare il sanguer delle vittime a scopo rituale NdT] . Dopo che l’artiglieria israeliana aveva sparato colpi di mortaio all’interno della base Onu di Qana nel 1996, gli israeliani affermarono che nella base si erano rifugiati anche combattenti di Hezbollah. Era una menzogna. Gli oltre 1.000 morti del 2006 – una guerra iniziata quando Hezbollah aveva catturato due soldati israeliani sul confine – vennero liquidati semplicemente come responsabilità di Hezbollah. Israele sostenne che i corpi dei bambini uccisi in un secondo massacro a Qana potevano essere stati presi da un cimitero. Era un’altra menzogna. Per il massacro di Marwahin non venne mai fornito alcun pretesto. Alla gente del villaggio era stato ordinato di andar via: obbedirono agli ordini israeliani, e poi vennero attaccati da un elicottero da combattimento israeliano. I rifugiati avevano preso i loro bambini e li avevano fatti stare in piedi attorno al camion sul quale stavano viaggiando in modo che i piloti israeliani vedessero che erano innocenti. L’elicottero israeliano li falciò a distanza ravvicinata. Sopravvissero solo in due, fingendosi morti. Israele non presentò neppure le scuse.
Dodici anni prima, un altro elicottero israeliano aveva attaccato una ambulanza che stava trasportando dei civili da un vicino villaggio – ancora una volta dopo che Israele aveva ordinato loro di andar via – uccidendo due donne e tre bambini. Gli israeliani sostennero che nell’ambulanza c’era un combattente di Hezbollah. Non era vero. Ho seguito tutte queste atrocità, ho indagato su tutte, ho parlato con i sopravvissuti. E così hanno fatto alcuni miei colleghi. Naturalmente, ci è toccata la più calunniosa delle diffamazioni: siamo stati accusati di essere antisemiti.
E ora scrivo ciò che segue senza il minimo dubbio: sentiremo nuovamente queste fabbricazioni scandalose. Avremo la menzogna “la colpa è di Hamas” – sa il cielo, di colpe ne hanno abbastanza senza dover aggiungere questo crimine – e potremo benissimo avere la menzogna dei corpi riesumati dal cimitero, e quasi certamente avremo quella “nella scuola delle Nazioni Unite c’era gente di Hamas”, e avremo certamente la menzogna dell’antisemitismo. E i nostri leader faranno grandi dichiarazioni, e ricorderanno al mondo che è stato Hamas a rompere per primo il coprifuoco. Non è vero: lo ha fatto Israele - prima il 4 novembre, quando un suo bombardamento ha ucciso sei palestinesi a Gaza, e di nuovo il 17 novembre, quando un altro bombardamento ne ha uccisi altri quattro.
Sì, gli israeliani meritano la sicurezza. Venti israeliani morti in 10 anni attorno a Gaza sono in effetti una triste cifra. Ma 600 palestinesi morti in poco più di una settimana, migliaia negli anni dopo il 1948 – quando il massacro israeliano di Deir Yassin contribuì a mettere in moto la fuga dei palestinesi da quella parte della Palestina che sarebbe diventata Israele – sono su una scala del tutto diversa. Che ricorda non un normale bagno di sangue in Medio Oriente, ma una atrocità a livello delle guerre dei Balcani degli anni ‘90. E, naturalmente, quando un arabo inizierà a non potere più frenare la sua ira, e rivolgerà la propria collera incendiaria e cieca contro l’Occidente, diremo che questo non ha nulla a che vedere con noi. Perché ci odiano, ci domanderemo? Non diciamo però di non conoscere la risposta. da "The Independent" 7 gennaio 2009
clicca per versione originale in inglese sul quotidiano britannico The Independent
Traduzione di Ornella Sangiovanni, tratto da sito del forumpalestina