Aprire le porte dei CIE per
garantire informazione e trasparenza
Oggi presidi in tutta Italia
Oggi presidi in tutta Italia
Anche l’Arci aderisce alla giornata di
mobilitazione promossa oggi dalla Federazione nazionale della
stampa italiana per chiedere il ritiro della circolare
firmata dal ministro Maroni che vieta ai giornalisti
l’ingresso nei CIE. Ci troviamo infatti
di fronte all’ennesima violazione dell’articolo
21 della nostra Costituzione che sancisce il diritto a
informare ed essere informati. Una violazione in questo
caso particolarmente odiosa, poiché si vuole impedire
che l’opinione pubblica venga a conoscenza delle
condizioni di degrado e sopruso cui i migranti sono
costretti a causa di una detenzione che non ha
fondamento giuridico.
Vogliamo contribuire a squarciare questa coltre che oscura la verità raccontando l’esperienza fatta dai nostri operatori all’interno del centro di Lampedusa. L’Arci è stata infatti recentemente autorizzata dal Ministero dell’Interno a svolgere le proprie funzioni di ente di tutela in favore dei cittadini stranieri nel cpsa dell’isola.
Non è la prima volta che l’ARCI opera a Lampedusa. Operatori e volontari dell’associazione sono presenti a Lampedusa sin dal 2005, con varie attività (dai campi di lavoro, all’organizzazione di eventi culturali, alla denuncia di abusi e violazioni di legge, ad un’azione costante di controinformazione).
Fino all’autunno si occuperanno di assistenza durante gli sbarchi, monitoraggio della situazione nel centro, raccolta di testimonianze sul ‘viaggio, condizioni di vita in Libia e/o nei paesi d’origine, informazione sulla situazione giuridica dei migranti trattenuti, informazione sulla legislazione italiana sull’immigrazione e l’asilo, tutela dei minori, delle categorie vulnerabili, dell’unità familiare, assistenza nell’accesso alla procedura d’asilo, tutela legale dei migranti ‘economici’, assistenza del migrante e richiedente asilo nei trasferimento sul territorio italiano tramite il numero verde nazionale dell’Arci e la rete territoriale dell’associazione presente in tutte le città.
Vogliamo contribuire a squarciare questa coltre che oscura la verità raccontando l’esperienza fatta dai nostri operatori all’interno del centro di Lampedusa. L’Arci è stata infatti recentemente autorizzata dal Ministero dell’Interno a svolgere le proprie funzioni di ente di tutela in favore dei cittadini stranieri nel cpsa dell’isola.
Non è la prima volta che l’ARCI opera a Lampedusa. Operatori e volontari dell’associazione sono presenti a Lampedusa sin dal 2005, con varie attività (dai campi di lavoro, all’organizzazione di eventi culturali, alla denuncia di abusi e violazioni di legge, ad un’azione costante di controinformazione).
Fino all’autunno si occuperanno di assistenza durante gli sbarchi, monitoraggio della situazione nel centro, raccolta di testimonianze sul ‘viaggio, condizioni di vita in Libia e/o nei paesi d’origine, informazione sulla situazione giuridica dei migranti trattenuti, informazione sulla legislazione italiana sull’immigrazione e l’asilo, tutela dei minori, delle categorie vulnerabili, dell’unità familiare, assistenza nell’accesso alla procedura d’asilo, tutela legale dei migranti ‘economici’, assistenza del migrante e richiedente asilo nei trasferimento sul territorio italiano tramite il numero verde nazionale dell’Arci e la rete territoriale dell’associazione presente in tutte le città.
Dai primi report inviati dagli operatori che hanno accesso al cpsa emergono in particolare le seguenti criticità:
1. gli spazi sono degradati e le persone vivono in un posto ‘di passaggio’ un periodo troppo lungo;
2. non c’è alcuna giustificazione per questo trattenimento lungo e illegittimo: se anche fosse vero che mancano i posti (cosa che non è) lo stato è obbligato a trovare soluzioni legittime evitando di creare altrove altre “piccole Lampedusa”;
3. il trattenimento per più di 48 ore in assenza di provvedimenti del giudice non è legale: un sopruso più volte denunciato anche da organizzazioni e istituzioni internazionali.
4. i minori hanno un trattamento simile a quello degli adulti: detenuti per periodi lunghi e in stato di abbandono. Non risulta siano presi in carico da nessuno e si trovano quindi in una condizione che è contraria a quanto prevede la legge;
5. i maghrebini subiscono un trattamento discriminatorio, trattenuti in attesa di rimpatrio coatto (l’ultimo, l’11 luglio con un volo che li ha portati da Lampedusa a Palermo e da qui in Tunisia);
6. le richieste d’asilo raccolte dall’Arci non ricevono trattamento analogo a quelle raccolte da altri organismi perchè mancherebbe “uno specifico protocollo in materia”;
7. E’ certo che 4 tunisini che avevano espresso la volontà di fare richiesta d’asilo e nominato un legale sono stati rimpatriati senza che la loro domanda venisse esaminata.
Anche solo alla luce di queste parziali informazioni (in allegato il primo report dell’esperienza diretta degli operatori entrati al cspa) è evidente quanto sia fondamentale poter fornire notizie su quel che succede realmente all’interno dei centri. La prima condizione per poter chiedere il ripristino della legalità e dei diritti democratici è conoscere la verità.
Roma, 25 luglio 2011 (dichiarazione di Filippo Miraglia)
Report delle prime giornate trascorse da volontari e
operatori dell’Arci nel cpsa di Lampedusa
Le condizioni igieniche del cpsa di contrada Imbriacola a Lampedusa sono carenti, gli ambienti sono sempre molto sporchi. La gestione e l’organizzazione del lavoro di pulizia non sono adeguate alla situazione, come si può constatare da un accesso quotidiano agli spazi del centro.
I migranti presenti a luglio, maghrebini (in prevalenza marocchini, poi tunisini e algerini), libici, ma principalmente subsahariani (molti della Nigeria, ma anche del Mali, Senegal, Ghana, Gambia, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Niger, Camerun) e cittadini del Bangladesh vivono una condizione di degrado a causa della scarsa cura degli spazi e dell’assenza di attenzione ai tempi, spesso lunghi di trattenimento nel centro (non sono previste attività ricreative), e della promiscuità.
La permanenza nel centro sia per i maggiorenni, sia per i minori, supera molto spesso i 40 giorni, con picchi di 50 giorni e questo soprattutto per i migranti tunisini. Vi è quindi un trattenimento illegale senza che la magistratura abbia accertato e convalidato i motivi della detenzione. Peraltro la natura giuridica del centro dovrebbe rispondere ad esigenze di prima assistenza e soccorso e non di detenzione amministrativa come per i Cie.
Le condizioni di degrado, l’assenza di servizi per tempi di permanenza lunghi, soprattutto in presenza di numeri alti, rendono impossibile una permanenza superiore ai 2/3 giorni.
I migranti maghrebini, soprattutto i tunisini, sono trattenuti in attesa di rimpatrio coatto. Lunedì 11 luglio, 32 di loro sono stati rimpatriati in Tunisia, con un volo Lampedusa-Palermo Palermo-Tunisi, notizia confermata da telefonate effettuate dai rimpatriati ai compagni rimasti a Lampedusa.
Si tratta di una prassi consolidata, che non prevede alcuna informazione sul diritto di asilo, e che si accompagna ad un l’atteggiamento delle forze dell’ordine particolarmente discriminatorio verso i tunisini. L’ARCI, attraverso la presenza dei suoi operatori, ha garantito l’accesso al diritto d’asilo anche ai nordafricani, alcuni dei quali hanno espresso la volontà di formalizzare la richiesta.
Ma finora le domande di accesso alla procedura d’asilo, e segnatamente quelle sottoscritte dai migranti presenti e depositate dall’Arci presso gli uffici della PS del CPSA, attraverso una procedura già sperimentata tra PS e UNHCR, non vengono gestite in modo analogo alle altre (l’ARCI non riceve notizie sulla destinazione dei richiedenti) a causa - secondo la PS - della mancanza di un protocollo specifico tra ARCI e Ministero dell’Interno. In realtà l’ARCI, durante il normale lavoro di informazione e orientamento, si limita a raccogliere la volontà espressa dal migrante di chiedere asilo e la segnala, per maggiore garanzia del richiedente, attraverso una domanda da lui sottoscritta e recante i suoi dati.
La decisione della PS di sospendere le domande da noi segnalate crea un evidente pregiudizio per il richiedente asilo che, pur avendo già manifestato la volontà di accedere alla procedura di asilo, rischia un rimpatrio coatto. Questo è avvenuto per esempio il 22 luglio a 4 tunisini, rimpatriati, pur avendo fatto richiesta d’asilo e nominato un legale.
Per quanto riguarda i minori, il periodo del loro trattenimento supera spesso quello degli adulti, con punte di 45 giorni. Molti si sono lamentanti con gli operatori ARCIper la mancanza di prodotti per la pulizia del corpo e degli indumenti, e per la scarsa fornitura di abbigliamento adeguato alla loro età.
Al fine di garantire una maggiore tutela ai minori, l’Arci, dopo aver informato accuratamente i minori sul diritto d’asilo, ha seguito alcuni di loro nell’accesso alla procedura, segnalando i casi anche al Servizio Centrale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati.
I trattenuti al cpsa per la maggior parte hanno intorno ai 16-17 anni. A differenza degli adulti hanno più libertà di movimento e non sono nelle ‘gabbie interne’.
Abbiamo tuttavia rilevato che spesso passano la giornata insieme agli adulti, per loro scelta e contravvenendo alle disposizionidell’ente gestore e della PS, evidentemente per stare con i loro ‘compagni di traversata’. Non ci risultache al poliambulatorio di Lampedusa venga fatto l’esame radiografico per l’accertamento dell’età.
Il 21 luglio abbiamo assistitoad una lite tra minori. Portati fuori dal centro su una camionetta della polizia, quando sono rientrati avevano sul corpo medicazioni e fasciature, segni evidenti di violenze subite dopo l’uscita dal centro.
Dalle interviste emerge che il costo del ‘viaggio’ dalla Libia sì è abbassato notevolmente, fino agli attuali 500 dinari (circa 250 euro). I migranti aspettano in enormi hangar la chiamata per imbarcarsi. La maggior parte dei migranti parte con ‘guide’ che non conoscono bene la rotta, privi di telefoni satellitari, e questo spiega i tanti incidenti in mare.
Evidenti violazioni dell’obbligo internazionale del Non-refoulement e degli obblighi di soccorso in mare, emergono da alcune narrazioni del viaggio nel Canale di Sicilia, raccolte dentro il centro:
“Il 9 luglio 2011 è partita una imbarcazione da Tunisi con a bordo una sessantina di migranti, fra cui un numero consistente di ragazzi tra i 14 e i 15 anni. Dopo 13 ore di traversata, in acque internazionali l’imbarcazione non ha più funzionato. Intorno alle 14 si è avvicinata una nave militare italiana, all’interno della nave vi era un elicottero. I militari, con due piccole imbarcazioni a motore, hanno portato alla barca in difficoltà cibo, bevande e materiale per far ripartire il motore. Alle 18.30 la nave militare è ripartita senza prendere a bordo i migranti, e quando era ancora visibile - a 4, 5 miglia dalla barca - accostava al barcone la motovedetta tunisina ‘El Hourria’.
I migranti hanno riferito che la motovedetta tunisina era stata chiamata dai militari italiani. Dalla motovedetta gli è stato detto di salire a bordo, perché se fossero rimasti sulla barca sarebbero morti in mare. I minori hanno cominciato a piangere. 40 migranti hanno deciso di salire sulla motovedetta tunisina, 20 sono rimasti gridando "o Italia o morte". Prima di partire in direzione della Tunisia, la motovedetta ha urtato la piccola imbarcazione, con un’operazione molto pericolosa, per intimorire i migranti. Solo alle 23.30 il motore della barca ha ripreso a funzionare. Alle 6.30 il natante è stato intercettato dalla guardia costiera italiana che l’ha scortata al porto di Lampedusa”
“All'inizio di luglio, una imbarcazione ha smarrito la rotta, ha vagato in mare per 5 giorni, senza incontrare alcuna nave. E’ sopravvenuta una tempesta, di notte, e 10 persone sono cadute in mare e sono morte. Sull’imbarcazione non c’era un GPS e la ‘guida’ non conosceva il tragitto.”
“Un altro gruppo di sette migranti sono arrivati con un gommone, anche loro hanno perso la rotta e hanno vagato per cinque giorni. Nonostante le loro richieste di aiuto, le barche da pesca e i motopescherecci hanno continuato la propria rotta. I migranti sono rimasti ustionati a causa dell’esposizione al sole e delle perdite di carburante dal gommone”.
Le condizioni igieniche del cpsa di contrada Imbriacola a Lampedusa sono carenti, gli ambienti sono sempre molto sporchi. La gestione e l’organizzazione del lavoro di pulizia non sono adeguate alla situazione, come si può constatare da un accesso quotidiano agli spazi del centro.
I migranti presenti a luglio, maghrebini (in prevalenza marocchini, poi tunisini e algerini), libici, ma principalmente subsahariani (molti della Nigeria, ma anche del Mali, Senegal, Ghana, Gambia, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Niger, Camerun) e cittadini del Bangladesh vivono una condizione di degrado a causa della scarsa cura degli spazi e dell’assenza di attenzione ai tempi, spesso lunghi di trattenimento nel centro (non sono previste attività ricreative), e della promiscuità.
La permanenza nel centro sia per i maggiorenni, sia per i minori, supera molto spesso i 40 giorni, con picchi di 50 giorni e questo soprattutto per i migranti tunisini. Vi è quindi un trattenimento illegale senza che la magistratura abbia accertato e convalidato i motivi della detenzione. Peraltro la natura giuridica del centro dovrebbe rispondere ad esigenze di prima assistenza e soccorso e non di detenzione amministrativa come per i Cie.
Le condizioni di degrado, l’assenza di servizi per tempi di permanenza lunghi, soprattutto in presenza di numeri alti, rendono impossibile una permanenza superiore ai 2/3 giorni.
I migranti maghrebini, soprattutto i tunisini, sono trattenuti in attesa di rimpatrio coatto. Lunedì 11 luglio, 32 di loro sono stati rimpatriati in Tunisia, con un volo Lampedusa-Palermo Palermo-Tunisi, notizia confermata da telefonate effettuate dai rimpatriati ai compagni rimasti a Lampedusa.
Si tratta di una prassi consolidata, che non prevede alcuna informazione sul diritto di asilo, e che si accompagna ad un l’atteggiamento delle forze dell’ordine particolarmente discriminatorio verso i tunisini. L’ARCI, attraverso la presenza dei suoi operatori, ha garantito l’accesso al diritto d’asilo anche ai nordafricani, alcuni dei quali hanno espresso la volontà di formalizzare la richiesta.
Ma finora le domande di accesso alla procedura d’asilo, e segnatamente quelle sottoscritte dai migranti presenti e depositate dall’Arci presso gli uffici della PS del CPSA, attraverso una procedura già sperimentata tra PS e UNHCR, non vengono gestite in modo analogo alle altre (l’ARCI non riceve notizie sulla destinazione dei richiedenti) a causa - secondo la PS - della mancanza di un protocollo specifico tra ARCI e Ministero dell’Interno. In realtà l’ARCI, durante il normale lavoro di informazione e orientamento, si limita a raccogliere la volontà espressa dal migrante di chiedere asilo e la segnala, per maggiore garanzia del richiedente, attraverso una domanda da lui sottoscritta e recante i suoi dati.
La decisione della PS di sospendere le domande da noi segnalate crea un evidente pregiudizio per il richiedente asilo che, pur avendo già manifestato la volontà di accedere alla procedura di asilo, rischia un rimpatrio coatto. Questo è avvenuto per esempio il 22 luglio a 4 tunisini, rimpatriati, pur avendo fatto richiesta d’asilo e nominato un legale.
Per quanto riguarda i minori, il periodo del loro trattenimento supera spesso quello degli adulti, con punte di 45 giorni. Molti si sono lamentanti con gli operatori ARCIper la mancanza di prodotti per la pulizia del corpo e degli indumenti, e per la scarsa fornitura di abbigliamento adeguato alla loro età.
Al fine di garantire una maggiore tutela ai minori, l’Arci, dopo aver informato accuratamente i minori sul diritto d’asilo, ha seguito alcuni di loro nell’accesso alla procedura, segnalando i casi anche al Servizio Centrale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati.
I trattenuti al cpsa per la maggior parte hanno intorno ai 16-17 anni. A differenza degli adulti hanno più libertà di movimento e non sono nelle ‘gabbie interne’.
Abbiamo tuttavia rilevato che spesso passano la giornata insieme agli adulti, per loro scelta e contravvenendo alle disposizionidell’ente gestore e della PS, evidentemente per stare con i loro ‘compagni di traversata’. Non ci risultache al poliambulatorio di Lampedusa venga fatto l’esame radiografico per l’accertamento dell’età.
Il 21 luglio abbiamo assistitoad una lite tra minori. Portati fuori dal centro su una camionetta della polizia, quando sono rientrati avevano sul corpo medicazioni e fasciature, segni evidenti di violenze subite dopo l’uscita dal centro.
Dalle interviste emerge che il costo del ‘viaggio’ dalla Libia sì è abbassato notevolmente, fino agli attuali 500 dinari (circa 250 euro). I migranti aspettano in enormi hangar la chiamata per imbarcarsi. La maggior parte dei migranti parte con ‘guide’ che non conoscono bene la rotta, privi di telefoni satellitari, e questo spiega i tanti incidenti in mare.
Evidenti violazioni dell’obbligo internazionale del Non-refoulement e degli obblighi di soccorso in mare, emergono da alcune narrazioni del viaggio nel Canale di Sicilia, raccolte dentro il centro:
“Il 9 luglio 2011 è partita una imbarcazione da Tunisi con a bordo una sessantina di migranti, fra cui un numero consistente di ragazzi tra i 14 e i 15 anni. Dopo 13 ore di traversata, in acque internazionali l’imbarcazione non ha più funzionato. Intorno alle 14 si è avvicinata una nave militare italiana, all’interno della nave vi era un elicottero. I militari, con due piccole imbarcazioni a motore, hanno portato alla barca in difficoltà cibo, bevande e materiale per far ripartire il motore. Alle 18.30 la nave militare è ripartita senza prendere a bordo i migranti, e quando era ancora visibile - a 4, 5 miglia dalla barca - accostava al barcone la motovedetta tunisina ‘El Hourria’.
I migranti hanno riferito che la motovedetta tunisina era stata chiamata dai militari italiani. Dalla motovedetta gli è stato detto di salire a bordo, perché se fossero rimasti sulla barca sarebbero morti in mare. I minori hanno cominciato a piangere. 40 migranti hanno deciso di salire sulla motovedetta tunisina, 20 sono rimasti gridando "o Italia o morte". Prima di partire in direzione della Tunisia, la motovedetta ha urtato la piccola imbarcazione, con un’operazione molto pericolosa, per intimorire i migranti. Solo alle 23.30 il motore della barca ha ripreso a funzionare. Alle 6.30 il natante è stato intercettato dalla guardia costiera italiana che l’ha scortata al porto di Lampedusa”
“All'inizio di luglio, una imbarcazione ha smarrito la rotta, ha vagato in mare per 5 giorni, senza incontrare alcuna nave. E’ sopravvenuta una tempesta, di notte, e 10 persone sono cadute in mare e sono morte. Sull’imbarcazione non c’era un GPS e la ‘guida’ non conosceva il tragitto.”
“Un altro gruppo di sette migranti sono arrivati con un gommone, anche loro hanno perso la rotta e hanno vagato per cinque giorni. Nonostante le loro richieste di aiuto, le barche da pesca e i motopescherecci hanno continuato la propria rotta. I migranti sono rimasti ustionati a causa dell’esposizione al sole e delle perdite di carburante dal gommone”.