venerdì 13 luglio 2012

Livorno, salpa l'«Oloferne»: «Il Mediterraneo sia solidale»

L'obiettivo dell'iniziativa: porre fine ai crimini commessi dagli Stati contro i migranti che provano ad attraversare il Mediterraneo.  Accelerare i soccorsi, colpire gli abusi in alto mare.


In mezzo ai”ferri da stiro” new design del porto turistico di Rosignano Marina ha attraccato, ieri, proveniente da La Spezia, l'Oloferne, un due alberi in legno con le colonnine tornite, ha imbarcato il capitano Ennio Cerretti e un gruppo di attivisti per i diritti umani e giornalisti (foto di Giulia Parri), per salpare alla volta di Palermo, dove si farà tappa ai Cie di Milo e Serraino Vulpitta. A Palermo si terrà una cerimonia deponendo in mare 1500 candele per ricordare i morti nelle acque del Mediterraneo nel 2011. Poi inizierà la traversata del Canale di Sicilia verso Monastir in Tunisia, ci saranno visite ai campi di detenzione dei respinti, poi di nuovo in mare per l'ultima tappa, Lampedusa. Dell'equipaggio fa parte Farouk Ben Lhiba, padre di un ragazzo disperso nella collisione della Rais Alì, su cui erano imbarcati 21 giovani, con la Elhouria 302, dell'esercito tunisino. Cinque dei 21 ragazzi sono morti, gli altri 16 sono dispersi. Farouk è venuto in Italia per chiedere se esistono foto scattate dagli arei italiani che hanno certamente sorvolato la zona immediatamente dopo l'impatto.

L'Oloferne è di proprietà della associazione spezzina “Navi di carta” che l'ha messa a disposizione come avanguardia di Boats4people, una flottiglia per il monitoraggio del Canale di Sicilia. L'idea è nata al Meeting antirazzista organizzato dall' Arci a Cecina, dove si discute come portare avanti la campagna “italiano sono anch'io”. Italiani come i ragazzi del circolo Arci “Thomas Sankara” di Messina, i cui iscritti sono in maggioranza 2G, seconda generazione di migranti. Italiani perfetti ma senza passaporto. 

A bordo dell'Oloferne Filippo Miraglia (Arci) ha spiegato come è nata l'idea: “Il Mediterraneo è un mare molto frequentato anche per ragioni di sicurezza, aerei, elicotteri, pescherecci e navi cisterna. Ma è anche la via principale di coloro che fuggono dai conflitti, dei richiedenti asilo”. Fino al 2009, ha continuato Miraglia, “i pescherecci si adoperavano per salvare le carrette del mare”. Poi c'è stata la legge Maroni sui respingimenti e, per chi lavora in mare, alle difficoltà di sempre, “si è aggiunto il rischio della denuncia per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina”. “Una pagina bruttissima quella dei respingimenti in alto mare – dice Laura Boldrini (Unhcr) – con cui l'Italia si è meritata la condanna della Corte Europea dei diritti umani”. Si è dovuto assistere, ricorda Laura Boldrini, “alla scena degli uomini tonno”, naufraghi aggrappati alle gabbie per la pesca dei tonni. La sentenza della Corte Europea ha stabilito, non solo per l'Italia ma per tutta l'Europa, che le politiche di contrasto dell'immigrazione clandestina non possono essere in violazione dei diritti umani, fra i quali c'è il diritto d'asilo. 

Ma intanto c'è stato il caso denunciato dal Guardian: 72 persone morte, sebbene mezzi Nato avessero visto le barche in difficoltà. E c'è il caso delle centinaia di tunisini salpati durante la rivolta della Primavera araba, di cui non c'è più traccia. Il governo italiano è cambiato ma Frontex, l'accordo per i respingimenti con la Libia è stato rinnovato. Fra i promotori di Boat4people c'è padre Mussie Zerai, che molti conoscono per il suo impegno verso gli eritrei: “La politica dei respingimenti ha causato molte morti. Quando una strada si chiude se ne apre un'altra più difficile e più costosa, oggi ci sono 60.000 persone ammassate nel Sinai”. E Padre Zerai denuncia: “In Libia le condizioni sono le stesse del tempo di Gheddafi, i militari terrorizzano i minori rinchiusi nei centri sparando con i kalashnikov, ci sono bambini che non vedono il sole per settimane. Queste si chiamano torture”. 

Boats4people punta a creare una rete di gente di mare che contrasti il ping pong delle responsabilità fra Stati, quando si tratta di portare in salvo i migranti. Della rete fanno già parte due dottorandi in architettura dell'università di Londra, Lorenzo Pezzani e Charles Heller. Usando immagini satellitari e testimonianze hanno mappato la deriva della barca del “caso Guardian”, ora intendono proseguire con il progetto “Watch the Med”, uno sguardo civile sul Mediterraneo. Gli strumenti dell'urbanistica vengono utilizzati per creare una geografia dei diritti “in un mare che non è vuoto ma solcato da mezzi di trasporto e pescherecci, perimetrato da zone economiche esclusive e piattaforme”, in un deserto si può morire in un luogo così popolato la morte per stenti o naufragio assomiglia a un crimine.